Processo Thyssen, il vicesindaco di Torino: “Abbiamo fatto il possibile”. Ma gli operai smentiscono

Pubblicato il 14 Aprile 2010 - 18:52 OLTRE 6 MESI FA

Il vicesindaco di Torino, Tom Dealessandri, ha testimoniato in Corte d’Assise al processo per l’incendio alla ThyssenKrupp che nel dicembre 2007 uccise 7 operai. Su richiesta della difesa, Dealessandri ha ricostruito i rapporti del Comune con in vertici aziendali che giusto pochi mesi prima dell’incidente avevano comunicato la volontà di chiudere lo stabilimento subalpino e trasferire gli impianti a Terni.

L’intervento del vicesindaco ha lasciato di malumore alcuni fra i presenti in aula: Dealessandri infatti ha detto che l’amministrazione si sente tuttora impegnata ad aiutare gli ultimi lavoratori non ricollocati. «Ventitre di noi – ha detto un operaio all’uscita – sono ancora in cassa integrazione. E guarda caso sono quelli che si sono costituiti parte civile».

Prima di Dealessandri in aula era comparso, su richiesta della difesa, l’onorevole Gianfranco Borghini, che nel 2007 seguì l’iter della chiusura della sede Thyssen di Torino nella veste di consigliere del Ministero per lo sviluppo economico. In tutto, oggi, sono stati ascoltati 7 testimoni.

«È emerso – ha commentato alla fine dell’udienza l’avvocato Ezio Audisio – che durante le riunioni seguite all’annuncio del trasferimento a Terni si parlò di occupazione e di continuità della produzione, e nessuno sollevò questioni legate alla sicurezza degli impianti di Torino».

Dealessandri, ricostruendo gli incontri di quel periodo, ha detto che la chiusura della Thyssen era, per Torino, «un gravissimo problema» perchè era un passo verso la «deindustrializzazione» che comportava la perdita di numerosi posti di lavoro.

«Cercammo – ha detto – di convincere la Thyssenkrupp a restare anche solo parzialmente a Torino. Fino alla primavera del 2007 non era mai stata in discussione la permanenza dello sede. In precedenza, anzi, l’azienda aveva fatto delle assunzioni, aveva parlato di allargare lo stabilimento. La decisione di andarsene, ancora oggi, mi è incomprensibile».