Roma, il giudice rimanda a casa il pedofilo nello stesso palazzo della bambina vittima

di Redazione Blitz
Pubblicato il 22 Agosto 2013 - 08:40 OLTRE 6 MESI FA
Roma, abusa di una bimba per 5 anni. Giudici: "Può vivere nello stesso palazzo"

Roma, abusa di una bimba per 5 anni. Giudici: “Può vivere nello stesso palazzo”

ROMA – Per cinque anni, dal 2005 al 2010, ha “costretto una minore a subire atti sessuali”. Pedofilia, detto altrimenti. La minore era la figlia della sua vicina di casa, affidata a lui e alla moglie quando la madre (vedova) andava a lavorare. Dopo una condanna di primo grado confermata in appello quell’uomo, un ex militare, è tornato a vivere nel suo appartamento, proprio sopra quello della piccola violata. E’ la storia di rinnovata violenza raccontata da Attilio Bolzoni su Repubblica. 

Le violenze sulla piccola, che adesso ha 13 anni, iniziano nel 2005, in un quartiere bene di Roma nord. Allora “Francesca” (nome di fantasia) ha 5 anni. La madre Emilia è rimasta vedova. Lavora molto, anche nel fine settimana. Così spesso la piccola Francesca viene affidata ai vicini del piano di sopra, “Pino” e sua moglie Wanda.

Dopo alcuni mesi, racconta Bolzoni,

Francesca inizia a stare male, tachicardia parossistica. La bambina cerca ogni scusa per non farsi portare dallo “zio” Pino, capisce però che è inutile. Passano altri mesi e passano anche gli anni fino a quando Francesca, più grande – è il 22 aprile 2010 – confessa alla madre i “giochi” con il vicino di casa. Emilia ne parla a una psicologa, poi presenta una denuncia contro l’orco del piano di sopra. Parte un’indagine per verificare l’attendibilità della bimba, la testimonianza è credibile, gli esperti escludono che il suo racconto sia influenzato da notizie su abusi di minori ascoltate in tivù. “Il fatto non me lo dimenticherò mai”, confida Francesca alla madre. Finisce un incubo.

Lo “zio” Pino viene processato con rito abbreviato e condannato, il 21 dicembre del 2011, a tre anni di reclusione. Già sei mesi prima, un giudice aveva ordinato il “divieto di dimora” del militare nell’appartamento che ha in affitto nel quartiere a nord di Roma “e nelle vie vicine”. Lo “zio” Pino viola la disposizione giudiziaria e il provvedimento di “divieto di dimora” viene così esteso in tutto il Lazio “ad esclusione di Vitinia”, dove lui ha una casa di proprietà. Meno di due anni dopo, il 9 maggio 2013, la condanna in primo grado a tre anni di reclusione viene confermata in secondo grado. Ma a luglio, il 4, la Corte di appello – con il parere negativo della procura generale – revoca il “divieto di dimora” e fa tornare il carnefice a un passo dalla sua vittima.

I giudici di appello hanno revocato il divieto di dimora per “il tempo trascorso dall’adozione della misura” e per “l’età avanzata dell’imputato”.

Così il 20 luglio Francesca se lo trova improvvisamente davanti.

Poi comincia a sentire i rumori che hanno trasformato la sua vita di bambina in un inferno – la sedia a dondolo che si muove, la televisione accesa fino a tarda notte, i rintocchi dell’orologio a pendolo – e ritorna l’angoscia degli anni prima. Francesca si sente spiata. Le finestre al primo piano della casa del militare in pensione affacciano sul giardino della casa della bambina, il balcone dello “zio” Pino è proprio di fronte all’appartamento di Emilia. “Mi avevi promesso di mandare via l’uomo cattivo”, grida alla madre. Emilia chiama subito i suoi avvocati. Sono i primi di agosto. Emilia è disperata, porta sua figlia lontano da Roma. “(Francesca) si rifiuta di uscire da casa, ha disturbi del sonno, ha paura di vederlo e di incontrarlo nel timore che possa farle ancora del male…”, scrive in una memoria la neuropsichiatra che dopo le violenze ha in cura Francesca da due anni e mezzo.

Ai primi di agosto gli avvocati presentano un’istanza al procuratore generale presso la Corte di Appello di Roma perché presenti un’impugnazione contro l’ordinanza che ha fatto tornare lo “zio Pino” nel palazzo di Francesca.

Ma il 9 agosto la Corte di Appello rigetta il nuovo ricorso della procura generale. “Non emergono, neanche dall’istanza del difensore della parte civile allegate alla richiesta del procuratore generale, elementi per ritenere la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione del delitto oggetto di condanna”. In sostanza, i giudici non vi ravvisano sopravvenute esigenze cautelari rispetto alle decisione di un mese prima. È considerato del tutto normale che “l’uomo cattivo” stia accanto alla piccola. Lo “zio” Pino può tornare.