Roma, legate e violentate a 14 anni. Padre di una di loro: “Così ho scoperto i violentatori”

di redazione Blitz
Pubblicato il 5 Novembre 2017 - 11:00 OLTRE 6 MESI FA
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Mario Seferovic a sinistra, e Bilomante Maikon Halilovic

ROMA – La scelta del luogo è un primo, importante elemento che dimostra la premeditazione del delitto, così come l’utilizzo delle manette che il reo aveva portato con sé con l’inequivocabile intento di farne uso per legare le vittime ed impedire loro di fuggire durante lo stupro programmato”.

Lo scrive il gip Costantino De Robbio nell’ordinanza di custodia cautelare di Mario Seferovic, 21 anni, e Maikon Bilomante Halilovic, 26 anni (e non 20 come appreso in precedenza) per lo stupro delle due 14enni avvenuto a maggio scorso a Roma in un bosco sulla via Collatina. I due ragazzi sono rom di origine bosniaca e vivono nel campo di via Silone, uno dei più problematici di Roma.

Per il giudice: “Il ricorso a un complice demandato a sorvegliare l’accesso al vicolo per consentire la violenza carnale senza timore di essere interrotti” ed aumentare la paura nelle vittime “aggrava ulteriormente un fatto già di per sé estremamente allarmante”.

Il Corriere della Sera aggiunge ora ulteriori elementi a questa storia drammatica.  A consegnare le foto dei due stupratori è stato il padre di una delle due quattordicenni. Le foto le ha trovate su Facebook su indicazione della figlia. Lo stesso padre,

“Per settimane, da giugno ad agosto, il papà l’ha accompagnata agli interrogatori. Alle audizioni protette con la psicologa, dai carabinieri e in Procura. E alla fine sia la figlia sia l’amica del cuore — lei solo con la madre accanto — hanno trovato la forza di superare il dolore e la vergogna. ‘Sono stato io a portare le fotografie di quel ragazzo ai carabinieri — ha detto il padre della quattordicenne —, le ho trovate su Facebook. Gli ho dato anche il telefono (un’utenza intestata a una pensionata romana) e qualche giorno dopo pure la foto del complice. È stata mia figlia a recuperarla”‘.

I genitori delle due ragazzine hanno saputo un mese dopo quasi per caso, dello sttupro. Anche se le loro ragazze non erano già più le stesse. Ci sono state poi le telefonate di Mario Seferovic alla madre di una di loro: “Me la può passare? Non mi vuole più parlare. Volevo chiederle il permesso di uscire con lei”. Lui già sapeva quello che era successo, la madre non poteva nemmeno immaginarlo.
Secondo l’accusa si è trattato solo di un trucco per capire se la sua vittima si fosse già confidata con i genitori. Il padre della studentessa che, insieme all’amica, sarebbe stata agganciata su Facebook dal rom bosniaco del campo in via di Salone a Roma e poi ammanettata e violentata insieme con la coetanea il 10 maggio scorso, racconta ancora:
“La verità è che mia figlia ha peccato di ingenuità, anche se a me e alla madre quel tipo non è mai piaciuto (…) Ma il sospetto è che la chat sia stato solo un passo successivo. In realtà la quattordicenne — e anche l’amica — e Seferovic si erano già conosciuti altrove. Per strada, forse su un autobus. D’altra parte lei e l’altra minorenne abitano dalle parti del campo del giovane rom e del complice e palo, Bilomante Maikon Halilovic, soprannominato Cristian”.

“‘Quello si presentava sotto casa, voleva uscire con mia figlia. Un giorno lei ha ceduto, non doveva farlo. È stata ingenua”, ripete il genitore. Anche perché Seferovic aveva — per l’accusa — ben altre intenzioni. «Le modalità con cui le violenze sono state ideate e portate a termine — scrive il gip Costantino De Robbio — sono sintomatiche di freddezza e determinazione unite a un’assoluta mancanza di scrupoli e a non comune ferocia verso le vittime» col rischio «che possa trattarsi di casi non isolati ma destinati a ripetersi in coerenza con una personalità incline alla sopraffazione e al brutale soddisfacimento di istinti di violenza”‘.