Rosa Angela Lavorgna morta per intervento alle palpebre: chirughi condannati

di redazione Blitz
Pubblicato il 15 Febbraio 2017 - 10:23 OLTRE 6 MESI FA

MILANO – Si era rivolta a una clinica privata di Milano per un intervento di blefaroplastica, ossia una correzione estetica delle palpebre cadenti. Ma l’anestesia le è stata fatale. E’ morta così Rosa Angela Lavorgna, infermiera lodigiana di 46 anni, deceduta sul tavolo operatorio a maggio 2015. Due chirurghi e un anestesista sono stati condannati a una pena complessiva di 6 anni per omicidio colposo e peculato. Lo ha deciso il gup Alessandra Clemente a seguito dell’inchiesta coordinata dal pm Leonardo Lesti. La sentenza è stata emessa lo scorso 13 gennaio e le motivazioni saranno depositate a metà marzo.

La morte dell’infermiera, stando alle indagini della Procura di Milano, sarebbe stata causata da un dosaggio elevato di propofol, un farmaco anestetico usato per sedarla prima dell’operazione. In particolare, il giudice ha condannato un chirurgo, che ha risarcito i familiari della donna prima del processo, a 1 anno e 7 mesi e 10 giorni di reclusione per omicidio colposo e un altro chirurgo, che però non ha risarcito, a 2 anni e 8 mesi sempre per omicidio colposo. Per la stessa accusa, poi, è stato condannato a 1 anno e 10 mesi un anestesista che ha risarcito anche lui la famiglia prima del processo: l’anestesista è stato anche condannato a 1 anno e 9 mesi e 10 giorni per peculato per l’uso del farmaco anestetico che avrebbe sottratto alla farmacia di un ospedale.

Lo stesso anestesista, tra l’altro, è stato assolto da un capo di imputazione di falso in relazione al consenso informato per l’intervento. Al di là dei risarcimenti fuori dal processo, comunque, il marito, il figlio, la sorella e la madre della vittima, rappresentati dall’avvocato Davide Luigi Ferrari nel procedimento penale, potranno anche intentare una causa civile per chiedere i danni. Nel maggio di due anni fa il Centro Medico Montenapoleone, dove era stata effettuata l’operazione chirurgica, aveva spiegato che “come da prassi” la clinica si era limitata “a rispondere alla richiesta” del medico della donna, “mettendo a disposizione dello stesso una sala ambulatoriale dotata di tutte le attrezzature per i piccoli interventi che ivi possono essere praticati”.