Scuola, panino vs mensa: la guerra continua. A Mantova è questione di “gusto”

di Ugo Brambilla
Pubblicato il 21 Ottobre 2016 - 09:29 OLTRE 6 MESI FA
Scuola, panino vs mensa: la guerra continua. A Mantova è questione di "gusto"

L’articolo della Gazzetta di Mantova sulla “guerra del panino”

Scuola: la guerra del panino contro la mensa continua e il fronte del “panino” (metonimia che indica il pasto portato da casa) avanza. Soprattutto nel Nord Italia. A Mantova, per esempio, ci sono due scuole che ben prima che arrivasse la sentenza del tribunale di Torino, che ha sancito la “libertà di panino” contro l’obbligatorietà della mensa, davano già la possibilità agli alunni di portarsi il pasto da casa. Riferisce la Gazzetta di Mantova:

«Il panino portato da casa al posto del pasto in mensa? Da noi lo fanno molti studenti da anni, senza aver atteso la sentenza di un giudice». Roberto Archi è dirigente della media a indirizzo musicale Alberti del comprensivo Levi. Nella scuola di piazza Seminario circa la metà degli studenti che deve rimanere a scuola a pranzare per poter frequentare le lezioni pomeridiane, preferisce mangiare cibo portato da casa o acquistato in un negozio prima di varcare il portone dell’istituto. La stessa cosa, anche se in proporzioni minori, accade in un’altra scuole media con rientri pomeridiani, la Sacchi di via Frattini.
Qui i ragazzi che non ricorrono al servizio mensa offerto dalla scuola sono 23. A chiedere l’autorizzazione ad avere un menu alternativo e, soprattutto, deciso in casa, sono stati gli stessi genitori. Il “servizio” è partito in modo sperimentale in settembre.

Il tema del “panino libero” è controverso. A livello nazionale non si può certo raccontare come una vittoria del privato (la famiglia) sul pubblico (la scuola statale), del libero arbitrio sull’alimentazione dei ragazzi (il panino, la “schiscetta”, il “baracchino”, la gavetta) sul menu imposto dalla scuola.

Anzi, almeno secondo i giudici di Torino, è lo Stato ad esser venuto meno ad una delle sue prerogative sancite dalla Costituzione: all’articolo 34 si stabilisce che l’istruzione è gratuita. Ma la spending review, l’austerity, ha costretto quasi tutte le scuole a far pagare la mensa, 80 euro al mese in media secondo Cittadinanzattiva. Le famiglie quindi rivendicano la “libertà di panino” perché vogliono risparmiare e non perché snobbano la mensa scolastica.

Il mondo della scuola (presidi, provveditori, dirigenti provinciali e regionali, ministero dell’Istruzione) protesta perché ritiene il servizio mensa parte del processo educativo: assicura che i ragazzi ricevano un pasto completo, combatte la dispersione scolastica. I maligni potrebbero anche pensare: se tutti venissero col panino da casa, i provveditorati perderebbero il potere di assegnare un appalto importante come quello della mensa.

Come molti colleghi quindi, anche il provveditore agli studi di Mantova Patrizia Graziani è perplessa sulla sentenza di Torino, sulle conseguenze del “panino libero”:

«Al mondo della scuola viene chiesto giustamente di intervenire in molti processi educativo, ad esempio in quello dell’alimentazione. Ma una sentenza può mettere in discussione un intero progetto di educazione alimentare».

Ma i dirigenti delle scuole Sacchi e Alberti riferiscono che i motivi per cui gli alunni rinunciano alla mensa non sono economici, ma di gusto: il menu non è gradito dai ragazzi (e dai loro genitori). Il figlio è mio e me lo nutro io. La guerra del panino continua, finché non ci sarà una legge a disciplinare la spinosa materia.