Stalking, sentenza “decalogo” Cassazione: vietato guardare le vittime

di Redazione Blitz
Pubblicato il 6 Febbraio 2015 - 20:45 OLTRE 6 MESI FA
Stalking, sentenza "decalogo" Cassazione: vietato guardare le vittime

Stalking, sentenza “decalogo” Cassazione: vietato guardare le vittime

ROMA –  Per gli stalker anche “divieto di sguardo“. Arriva una sentenza della Cassazione, la 5664, che è una specie di decalogo sulle misure a protezione della vittima di atti persecutori.  Dal divieto assoluto di avvicinamento e comunicazione alla persona offesa all'”individuazione” precisa dei luoghi cui non deve avvicinarsi: il giudice che applichi ad un indagato per stalking la misura cautelare deve specificare quale sia il comportamento da adottare, questo per consentire l’effettività della misura e per meglio tutelare la vittima.

Applicare il divieto di avvicinamento e di comunicazione, implica un “comportamento specifico”: quello “di non cercare contatti”, “non avvicinarsi fisicamente”, “non rivolgersi a lei con la parola o lo scritto”, fino al “non guardarla (quando o sguardo assume la funzione di esprimere sentimenti e stati d’animo): insomma, non fare tutto ciò che lo stalker è solito fare e che i soggetti appartenenti alla detta categoria comprendono benissimo”, spiegano i giudici.

In questo modo, per altro, “la sfera di libertà non è affatto compromessa in maniera indefinita o eccessiva, ma solo nella misura strettamente necessaria alla tutela della vittima”. Cosa che non è avvenuta nel caso da cui la sentenza ha origine: quello di un uomo cui il tribunale di Venezia aveva comminato la misura cautela del “divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima”, oltre che in due interi paesi.

Una misura, secondo la Cassazione (che l’ha annullata con rinvio per un nuovo esame), “eccessivamente generica” e quindi non corretta: l’indicazione “generica del luogo interdetto non è funzionale alle esigenze che si vogliono tutelare”, questo “sia perché l’obbligato non può sapere quali siano” i luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, “peraltro normalmente destinati a variare a seconda delle esigenze e delle abitudini della persona, sia perché la misura assumerebbe una elasticità dipendente dalle decisioni (o anche dal capriccio) dell’offeso, a cui verrebbe rimesso, sostanzialmente di stabilire il contenuto della misura”.

“E’ compito del giudice di merito – concludono gli ermellini – stabilire, in base alle concrete connotazioni assunte dalla condotta invasiva dell’agente, se questi debba tenersi lontano da luoghi determinati, in questo caso da indicare specificamente” o “se debba tenersi lontano, puramente e semplicemente dalla persona offesa; e se una siffatta prescrizione debba essere accompagnata da divieti di comunicare, anche con mezzi tecnici con quest’ultima”.