Napolitano, deposizione Stato-mafia: “Attentati erano ricatto”. Testo integrale

di Redazione Blitz
Pubblicato il 31 Ottobre 2014 - 13:47 OLTRE 6 MESI FA
Stato-mafia, deposizione di Giorgio Napolitano: testo integrale in pdf

Giorgio Napolitano

PALERMO –  “Gli attentati della mafia erano un ricatto“. Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, ha risposto così alle domande di pubblici ministeri e avvocati durante la sua udienza come testimone nel processo Stato-mafia.

Una deposizione lunga 86 pagine in cui Napolitano ha risposto a tutte le domande, anche quelle dell’avvocato di Totò Riina, senza mai avvalersi delle prerogative di riservatezza. La testimonianza di Napolitano  doveva essere pronta per lunedì 3 novembre, ma già la mattina del 31 ottobre è stata depositata alla cancelleria della Corte d’Assise di Palermo.

Leggi qui il testo integrale in Pdf

Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera scrive:

“Nella sua testimonianza, a proposito degli attentati dell’estate 1993 a Roma e Milano, il capo dello Stato ha detto ai giudici:

«La valutazione comune alle autorità istituzionali in generale e di governo in particolare, fu che si trattava di nuovi sussulti di una strategia stragista dell’ala più aggressiva della mafia, si parlava allora in modo particolare dei corleonesi, e in realtà quegli attentati, che poi colpirono edifici di particolare valore religioso, artistico e così via, si susseguirono secondo una logica che apparve unica e incalzante, per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut-aut, perché questi aut-aut potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure soprattutto di custodia in carcere dei mafiosi o potessero avere per sbocco la destabilizzazione politico – istituzionale del paese e naturalmente era ed è materia opinabile”.

Alla domanda del pm Nino Di Matteo:

“Quindi lei ha detto che si ipotizzò subito che la matrice unitaria e la riconducibilità ad una sorta di aut-aut, di ricatto della mafia, ho capito bene?”.

Napolitano ha risposto:

“Ricatto o addirittura pressione a scopo destabilizzante di tutto il sistema”.

Il presidente della Repubblica parla di Loris D’Ambrosio, con cui ha

“un rapporto di affetto e di stima sì, un rapporto di carattere personale in senso più ampio o più specifico no. Francamente io ho seguito una mia regola, che è quella di avere un rapporto schietto ma sempre inteso in termini di rapporto di lavoro da tenere su un binario di lealtà e anche severità. Insomma, non avevo né con il dottor D’Ambrosio, né con altri conversazioni a ruota libera o ricostruzioni delle nostre esperienze passate”.

E aggiunge:

“Eravamo, questo ogni tanto è difficile farlo intendere, una squadra di lavoro. In Italia c’è una Repubblica, peraltro non Presidenziale, non c’è una monarchia, non c’è una Corte, c’è attorno al Presidente della Repubblica come istituzione monocratica una squadra di lavoro e solo di lavoro quotidiano, corrente, discorrevamo tra di noi, non su che cosa avesse fatto il mio Consigliere Militare da Capo di Stato Maggiore della Difesa o da Generale Comandante della Guardia di Finanza, né con il mio Consigliere per gli Affari Giuridico-Costituzionali, quali fossero state le sue esperienze quando aveva funzioni elevate nell’Amministrazione del Senato. Stavamo ogni giorno sulla palla, su quello che si può considerare il nucleo vivo dell’attività che si sviluppava nel Parlamento, che si sviluppava da parte del Governo, e su cui io avevo in certi limiti e in certi precisi modi una voce da far sentire”.

Napolitano rispondendo alle domande del legale di Mancino, Massimo Krogh, che ha chiesto al Presidente se la frase “utile scriba”, utilizzata da Loris D’Ambrosio nella sua lettera sia rimasta solo una ipotesi priva di sostegno oggettivo, ha detto:

“Certamente, non ha con me mai aggiunto parola dopo, né aveva anticipato parola prima e se avesse avuto un sostegno oggettivo, il Magistrato, il Magistrato eccellente, Loris D’Ambrosio, avrebbe saputo benissimo quale era il suo dovere”.

Per il Presidente della Repubblica le stragi mafiose del ’93

“si susseguirono secondo una logica unica e incalzante per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut aut, perché potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure di custodia in carcere dei mafiosi”.

Loris D’Ambrosio non aveva assolutamente preannunciato l’intenzione di dimettersi ne’ la famosa lettera al presidente che fu per Napolitano “un fulmine a ciel sereno”:

“mi aveva solo trasmesso un senso di grande ansietà e anche un po’ di insofferenza per quello che era accaduto con la pubblicazione delle intercettazioni di telefonate tra lui stesso e il Senatore Mancino, insofferenza che poi espresse più largamente nella lettera. Non mi preannunciò né la lettera, né le dimissioni. Era diciamo preso da questa vicenda, era anche un po’ assillato da queste telefonate punto e basta.

Poi la lettera per me fu un fulmine a ciel sereno, ne rimasi molto colpito, ci riflettei e il giorno dopo, il giorno dopo subito lo pregai di venire nel mio ufficio, avendo già redatto una risposta che gli consegnai. Ho voluto pubblicare questi testi perché, diciamo, è mia linea di condotta il rispettare rigorosamente tutte le regole che sono poste a presidio dell’esercizio da parte del Presidente della Repubblica delle sue prerogative, quindi rispettare tutti i vincoli di riservatezza che da ultimo sono stati anche molto efficacemente ricapitolati e puntualizzati nella sentenza 1/2013 della Corte Costituzionale.

Ma nello stesso tempo dare il massimo di motivazione pubblica di ogni mia scelta, in tutte le circostanze si sia trattato di crisi di Governo, si sia trattato di nomine, ho creduto che non fosse assolutamente contrastante con l’abito di riservatezza del Presidente della Repubblica, dare trasparenza”.