Stupri Rimini, parla l’agente: “Ecco come hanno confessato”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 7 Settembre 2017 - 15:38 OLTRE 6 MESI FA
Stupri Rimini, parla l'agente: "Ecco come hanno confessato"

Stupri Rimini, parla l’agente: “Ecco come hanno confessato”

RIMINI – “L’abbiamo fatta grossa, vogliamo parlare dello stupro”. Sono queste le parole con cui i due fratelli marocchini dello stupro di Rimini si sono consegnati ai carabinieri. A raccontare quanto successo è il maresciallo maggiore Angiolo Giabbani, comandante della stazione di Montevecchio di Vallefoglia, che intervistato da Il Tempo spiega che “il primo a contattarci è stato il padre dei minori”. Dunque, aggiunge che i due “erano sicuramente consapevoli di aver commesso qualcosa di molto grave e che comunque, di lì a poco, qualcuno avrebbe bussato alla loro porta. Sapevano che eravamo già in grado di riconoscerli. Anche perché il padre è agli arresti domiciliari per reati contro il patrimonio e dunque è soggetto a controlli frequenti in casa”.

E ancora, Giabbani spiega poi come “dai fatti narrati dai due minori sono emersi elementi che ci hanno permesso di identificare gli altri componenti del gruppo”. I due marocchini, rivela, “erano già noti” all’Arma. “Sono ragazzi di seconda generazione, nati in Italia e integrati. Il padre, dopo essere entrato irregolarmente nel nostro Paese, ha sanato la sua posizione. La mamma si arrangia lavorando come donna delle pulizie e hanno una sorella più piccola”. Sempre sui due fratelli marocchini, spiega che “hanno quel tipo di personalità che li fa emergere dal gruppo per una certa dose di spregiudicatezza. Diciamo che si mostravano più sicuri di altri in quello che facevano. Uno di loro è rimasto coinvolto nel furto di un motorino, ma è successo a Pesaro”.

Quando gli chiedono come ha reagito la comunità di Vallefoglia alla notizia del fermo dei marocchini, il maresciallo, dopo aver sottolineato che “non ci sono state reazioni legate alla questione razziale, aggiunge: “La comunità ha reagito in maniera incredula e allo stesso tempo preoccupata. È come se non potessero credere o accettare che un cittadino di questa città possa macchiarsi di un reato tanto grave”.