Tito Claudio Traversa morto, il padre: “Mio figlio adorava scalare”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 7 Luglio 2013 - 13:20 OLTRE 6 MESI FA
Tito Claudio Traversa morto, il padre: "Mio figlio adorava scalare"

Tito Claudio Traversa morto, il padre: “Mio figlio adorava scalare”

GRENOBLE – “Mio figlio adorava scalare, non chiedete se sono pentito”. Giovanni Traversa, il padre del piccolo scalatore prodigio morto dopo una caduta, risponde così a Meo Ponte in un’intervista su Repubblica. Il piccolo Tito Claudio Traversa, scalatore di 12 anni, è morto il 5 luglio dopo tre giorni di coma nell’ospedale di Grenoble. Il padre, impiegato dell’Olivetti di 49 anni, tra le lacrime confessa a Ponte: “Voglio andare a Orpierre a vedere il punto in cui Tito è caduto”.

Traversa non si rassegna e vuole capire cosa è successo, per questo dice a Ponte di voler andare ad Orpierre, dove Tito è caduto:

“Perché voglio capire che cosa è successo. Quella è una delle più belle falesie francesi ma è anche una delle più facili da arrampicare. Tito quando si riscaldava di solito affrontava salite ben più difficili. Voglio vedere con i miei occhi da dove è caduto”.

Dietro l’incidente, secondo le ricostruzioni, un problema di attrezzatura che sarebbe stata quella di una compagna e non del giovane scalatore prodigio:

“L’ho accompagnato io a Torino domenica dove c’era l’appuntamento con i ragazzi della B-Side: lo aspettavano con due istruttori e una responsabile della palestra. Tito aveva la sua attrezzatura, quella che utilizza di solito. Collaudata, sempre controllata nei dettagli. Doveva restare sino a venerdì. Cinque giorni di allenamento. Era contento, spensierato. Mi hanno detto che doveva salire con una coetanea. Credo che sia successo quello che succede spesso quando si è in gruppo. Al più esperto viene chiesto sostanzialmente di fissare i “rinvii”, di preparare la strada insomma. Lui è arrivato alla cima, forse uno dei rinvii della ragazza non ha tenuto ed è venuto giù”.

Uno sport pericoloso il free climbing, ma che era la grande passione di Tito, passione che divenne “la sua vita” durante una vacanza a Verdon, quando aveva appena 8 anni:

“Con un mio amico volevamo rivedere le pareti che avevamo scalato. Tito e la figlioletta del mio amico provarono. Lui è sempre stato uno sportivo: a quel tempo giocava ad hockey su ghiaccio ed era bravo. Quel giorno però scoprì l’arrampicata. Al ritorno volle passare da Finale per vedere dove ero riuscito a fare “l’ottava” quando ero giovane. È lì che mi ha sussurrato in un orecchio ridendo: “Voglio diventare più bravo di te”. E c’è riuscito. Ha fatto cose che per me erano impossibili”.

Solo 12 anni, eppure campione del mondo e italiano. Tito era considerato una promessa del free climbing a livello mondiale ed aveva attirato attenzioni internazionali:

“Ormai lo conoscevano ovunque. Un gruppo di arrampicatori bulgari ci ha fermato una volta perché volevano complimentarsi con lui. E un campione spagnolo, dopo avergli visto affrontare un passaggio particolarmente arduo adottando uno strano modo di incrociare le braccia, quando ci ha incontrato dopo la scalata lo ha chiamato, gli ha mostrato le braccia incrociate in quel modo urlando: “Fuerte Tito, muy fuerte”. Ma Tito sapeva rapportarsi anche con quelli più piccoli di lui, non solo con i grandi. Aveva una pazienza infinita con i bimbi più piccoli, spiegava e rispiegava. Sempre allegro, sempre contento..”.

Ora al padre Giovanni non resta che organizzare il rientro di Tito in Italia, ma prima di tornare ad Ivrea andrà ad Orpierre:

“Torneremo ad Ivrea, insieme. Prima però andrò ad Orpierre, davanti a quella falesia dove è finito tutto. Per Tito e per me. Andrò lì per capire, per trovare una spiegazione anche se so che nulla potrà arginare la mia pena e che anche sapere che cosa è successo non mi ridarà il mio Tito”.