“Tolga il velo”: l’interprete musulmana rifiuta e deve lasciare l’aula

Pubblicato il 15 Novembre 2011 - 09:21 OLTRE 6 MESI FA

TORINO – Ha lasciato l’aula del Tribunale di Torino dopo che il giudice le aveva chiesto di togliersi il velo. Ma lei, giovane interprete musulmana, ha preferito allontanarsi piuttosto che scoprirsi il capo.

La vicenda, scrive Repubblica, risale allo scorso 14 ottobre. Quel giorno in un’aula della prima sezione penale sta per iniziare un’udienza per tentata estorsione di 250 euro tra due soci maghrebini. Fatima M., fonica al palazzo di Giustizia incaricata di registrare le udienze, ogni tanto fa qualche traduzione per arrotondare lo stipendio – da precaria – di poche centinaia di euro.

Anche quel 14 ottobre viene chiamata dal pm Andrea Bascheri a tradurre dall’arabo. Ha i capelli raccolti sotto un foulard, ma con il volto scoperto. Ancor prima che inizia l’udienza il giudice Giuseppe Casalbore, capo di quella sezione, le chiede di togliersi il velo perché, sostiene, il suo comportamento è in contrasto con la “legge che per le udienze pubbliche prevede che si stia in aula a capo scoperto”.

Ma Fatima preferisce lasciare l’aula piuttosto che venire meno alle sue convinzioni religiose. E con i colleghi si sfoga: “Per tutti gli altri giudici questo non è un problema”.

Un caso simile si era verificato a Mantova lo scorso marzo, quanto un’avvocatessa leghista aveva chiesto l’allontanamento di una donna velata in nome della legge antiterrorismo. L’obbligo di legge di assistere “a capo scoperto” deriverebbe dall’articolo 129 del codice di procedura civile. Ma secondo il presidente del tribunale di Torino, Luciano Panzani, “il rispetto dell’obbligo di assistere all’udienza a capo scoperto non è mai stato totale. Nessun magistrato ha mai chiesto ad una suora di togliersi il velo o a un ebreo ortodosso la kippah e nemmeno è mai stato chiesto di scoprire il capo a una persona sottoposta a chemioterapia che abbia perso i capelli. La norma impone il capo scoperto soltanto per sottolineare il dovere di assistere all’udienza con rispetto, non per altri fini”.

Il presidente del tribunale torinese sull’argomento ha posto anche un quesito al Consiglio superiore della magistratura.