Torpignattara, omicidio Shahzad. Padre e figlio arrestati: amici li difendono, testimoni li accusano

di Redazione Blitz
Pubblicato il 16 Ottobre 2014 - 16:02 OLTRE 6 MESI FA
Torpignattara, omicidio Shahzad. Padre e figlio arrestati: amici li difendono, testimoni li accusano

Uno degli striscioni appesi a Largo Perestrello per solidarietà al diciassettenne arrestato (foto Blitz Quotidiano)

ROMA – Via Pavoni, zona Marranella, fra Pigneto e Torpignattara: il Messaggero continua ad approfondire la vicenda dell’omicidio di Muhammad Shahzad Khan, pakistano di 28 anni che la notte del 18 settembre, secondo gli inquirenti, sarebbe stato ammazzato di botte da un diciassettenne romano incitato da suo padre, arrestato ieri (14 ottobre) con l’accusa di concorso morale in omicidio volontario.

Si scontrano da quasi un mese due versioni: quella di parenti, amici e degli avvocati del ragazzo (il diciassettenne ha reagito a una provocazione, il pakistano è morto per aver battuto la testa) e quella di inquirenti e amici della vittima (è stato un pestaggio iniziato senza motivo).

Il Messaggero da spazio alle tesi della difesa e dell’accusa. Davide Gambardella intervista Antonietta Maiuri, la zia del diciassettenne, in carcere dal 18 settembre nell’istituto minorile di Casal del Marmo:

«Mio nipote non è razzista, ha aggredito quell’uomo soltanto perché si è sentito minacciato. Ma lo avete visto bene? Peserà trenta chili, non è un picchiatore… Che sia stato il padre ad incitarlo, poi, è davvero poco credibile». […] «Confidiamo nella giustizia» è la laconica frase dietro cui si trincerano la compagna del padre del ragazzo ed alcuni suoi parenti che lavorano in un bar a due passi da piazza della Marranella.
Il bar, vicinissimo a Largo Perestrello e al luogo del fattaccio, è gestito dal padre del diciassettenne, arrestato ieri 14 ottobre.

L’unica a parlare è Antonietta Maiuri, zia di secondo grado del 17enne che vive all’interno del palazzo di via Pavoni, poco distante da dove è stato ucciso l’immigrato. «La verità salterà fuori, prima o poi – continua a ripetere la donna – Mio nipote era in bicicletta come tutte le sere quando è stato provocato. Si è soltanto difeso, l’avrebbe fatto chiunque al posto suo. Qualcuno ha dichiarato il falso, perché il papà di Daniel non ha incitato e minacciato proprio nessuno». Parla di una verità che striderebbe con quella raccontata agli inquirenti da alcuni testimoni, la zia di Daniel.

«Chiedete invece cosa stava accadendo prima di quella lite in via Malatesta – afferma Antonietta – Quell’uomo stava già litigando con altri passanti, poi ha attaccato con mio nipote. Avevano già fatto quattro segnalazioni alla polizia, ma non è intervenuto nessuno. Dispiace a tutti per come sono andate a finire le cose». Essere tacciati di razzismo, per Antonietta e la sua famiglia, è diventato un peso schiacciante. «Qui ci sono tantissimi immigrati – fa notare – e prima di allora non avevamo mai avuto alcun problema con loro. Basti pensare che la nostra famiglia ha dato lavoro ad una signora marocchina che aveva bisogno».

Intanto in carcere continuano ad arrivare decine di lettere per Daniel, «lo smirzo» come lo chiamano in molti a Tor Pignattara: un ragazzino «che non avrebbe fatto del male a nessuno», senza precedenti penali, tifosissimo della Roma e giovane promessa di una squadra di calcio che milita in Prima categoria. Un eroe, ormai, per alcuni suoi coetanei iscritti ad un gruppo dedicato a lui su un social network. «Ormai sei il piccolo grande uomo di Tor Pignattara».
Il gruppo su Facebook per la liberazione dello “smirzo” è arrivato a quasi 700 membri.
Adelaide Pierucci sente la campana dell’accusa:

«Ha obbedito alla richiesta del padre». Per il gip Giuseppina Guglielmi, nell’omicidio di Muhammad Shahzad Khan, il pakistano di 28 anni ucciso a calci a Torpignattara da un diciassettenne del quartiere, è stata cruciale l’istigazione di Massimiliano P. L’uomo, a torso nudo, in piena notte, dal balcone al terzo piano, incitava il figlio urlandogli «gonfialo, ammazzalo». Il pakistano, fuori di sé, da ore cantava per strada litanie e recitava le sure del Corano e per l’uomo, arrestato ieri per concorso in omicidio volontario (il figlio era già finito nel carcere minorile), andava punito. «L’immaturità del minore – scrive il gip – la naturale autorità di cui un genitore gode nel rapporto col figlio, e che ragionevolmente anche l’indagato aveva, fanno ritenere che l’incitamento si prestasse ad essere recepito dal minore come una seria richiesta». L’atteggiamento aggressivo del padre e lo stretto legame padre-figlio, per il magistrato, sarebbero l’origine della condotta violenta. Un ordine di un papà eseguito, insomma.

E’ una delle testimoni chiave, in una conversazione telefonica intercettata a dire, senza mezzi termini, di aver assistito a «un’aggressione a sangue freddo». «Senza che lo straniero avesse fatto nulla per provocare l aggressione». Un’azione «di una violenza indescrivibile», sottolinea in un altro passo dell’ordinanza di arresto il gip, riportandosi alla ricostruzione dei militari del nucleo investigativo di via In Selci e del pm Mario Palazzi.

Ma l’uomo, un quarantenne nato alla Marranella, noto come «Lullo», prima ambulante in via Sannio e ora gestore di un bar, per giorni, prima dell’arresto, ha smentito la ricostruzione della procura. «Quello straniero ha sputato a mio figlio, gli ha dato uno spintone e allora gli ho detto “gonfialo”, per dire difenditi, mica dicevo ammazzalo nel senso di ucciderlo. E’ stata una disgrazia. Avrà battuto la testa». L’arrestato, assistito dall’avvocato Michele Mainone, sarà interrogato nel carcere di Regina Coeli entro venerdì. Mentre da un villaggio del Pakistan i genitori e la moglie di Muhammad Shahzad Khan hanno chiesto a un penalista del foro di Roma, di rappresentarli come parti civili. «Sono stravolti dal dolore. Khan era un giovane mite, non aveva ancora mai visto il figlio, nato quattro mesi fa», ha detto l’avvocato Mario Angelelli, «Non capiscono perché è stato ammazzato così, senza motivo, per strada».

 

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CHI ERA MUHAMMAD SHAHZAD KHAN