Usura nei vertici del Banco di Sardegna: chiesto rinvio a giudizio

Pubblicato il 22 Dicembre 2009 - 09:41 OLTRE 6 MESI FA

Concorso in usura con l’aggravante dell’esercizio dell’attività bancaria. Sono raccolte nelle 363 pagine della relazione del perito Francesco Leo, uno dei massimi esperti in Italia di contenzioso bancario, le motivazioni che hanno portato il sostituto procuratore di Nuoro, Mariangela Passanisi, a chiedere il rinvio a giudizio di 11 persone, tra cui i vertici attuali e passati del Banco di Sardegna.

Sotto inchiesta gli ultimi quattro presidenti dell’istituto di credito sardo (compreso quello attuale), due direttori di banca, due funzionari, un’impiegata e due avvocati dell’Ufficio recupero crediti del servizio legale dello stesso istituto: tutti devono difendersi, a vario titolo, dall’accusa di aver preteso da una coppia di pensionati interessi ritenuti usurai.

Gli indagati sono gli ex presidenti Lorenzo Idda, Antonio Maria Sassu e Ivano Spallanzani e l’attuale numero uno del Banco Franco Antonio Farina; due direttori di banca di Macomer, Giuseppe Secchi e Giuliano Tronci; un’impiegata di Macomer, Giuliana Faedda; due avvocati del servizio legale, Salvatore Angelo Sanna (responsabile dell’ufficio) e Franco Sanna (attuale amministratore delegato di Equitalia Sardegna); e due funzionari dell’Ufficio recupero crediti, Andrea Masia e Annamaria Pisanu.

L’estate scorsa l’allora titolare dell’inchiesta, il pm Daniele Rosa, aveva depositato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, basate sugli accertamenti del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza e su una perizia realizzata dallo studio professionale Kipling s.a.s, uno dei più importanti in Italia nel settore dell’usura bancaria.

Le presunte vittime di quello che la Procura di Nuoro ipotizza come uno strozzinaggio, sono due pensionati di Bosa: Giovanni Maria Madeddu, commerciante di 78 anni, e sua moglie Giovanna Cadau. Dopo aver venduto una casa nel centro del paese e un terreno a due passi dal mare, per far fronte a un debito che sembrava non finire mai, i due coniugi hanno rischiato, prima dell’intervento della magistratura, di vedersi vendere all’asta l’ultimo bene rimasto, la casa dove hanno sempre vissuto.