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Vasto. Fabio Di Lello provocato dalla vittima? “D’Elisa sgasava in moto guardandolo”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 2 Febbraio 2017 - 10:57 OLTRE 6 MESI FA
Vasto. Fabio Di Lello provocato dalla vittima? "D'Elisa sgasava in moto guardandolo"

Vasto. Fabio Di Lello provocato dalla vittima? “D’Elisa sgasava in moto guardandolo”

ROMA – Vasto. Fabio Di Lello provocato dalla vittima? “D’Elisa sgasava in moto guardandolo”. Oltre al dolore irrimediabile per la perdita della moglie, la frustrazione quotidiana di vedere quotidianamente Italo D’Elisa, l’uomo cioè che passando col rosso gliela aveva rubata, la vendetta di Fabio Di Lello è stato in qualche modo provocata dalla stessa sua vittima? E’ quello che suggerisce il suo avvocato, Giovanni Cerella, intervistato da Radio Capital.

Italo D’Elisa, dopo aver ucciso Roberta, nell’incidente, non ha mai chiesto scusa, non ha mostrato segni di pentimento. Anzi, era strafottente con la moto. Dava fastidio al marito di Roberta. Quando lo incontrava, accelerava sotto i suoi occhi”. Così, intervistato da Radio Capital, l’avvocato Giovanni Cerella, già legale di parte civile per il procedimento che riguardava l’incidente in cui aveva perso la vita la donna, ora difensore del marito, Fabio Di Lello, che ha sparato a D’Elisa.

“D’Elisa – dice l’avvocato – tre mesi dopo l’incidente aveva ottenuto il permesso per poter tornare a guidare la moto, perché gli serviva per andare a lavorare”. “Fabio era sotto shock, era depresso per la perdita della moglie, andava molto spesso al cimitero – spiega ancora il legale – pensava giustizia non fosse stata fatta ma incontrandolo non ho mai avuto l’impressione che stesse ipotizzando una vendetta. Sono rimasto sbalordito quando ho saputo. Lui non aveva dimestichezza con le armi”.

Infine, sulla tesi difensiva di D’Elisa secondo la quale al momento dell’incidente Roberta Smargiassi avrebbe indossato male il casco Cerella dice:”c’è una perizia che ha fatto piena luce sulle responsabilità”.

Scontro tra famiglie su social. La vicenda legale seguita all’incidente stradale in cui morì a luglio scorso Roberta Smargiassi si era trasformata in uno scontro sui social locali tra le famiglie coinvolte, prima ancora di essere definita in un aula di Tribunale. Un clima d’odio stigmatizzato dallo stesso procuratore della Repubblica di Vasto Giampiero Di Florio che definisce la rete come luogo “dove la gioventù si affida a commenti spregiudicati”, additandoli senza giri di parole tra i responsabili indiretti della tragedia perché fomentatori di una persona che invece aveva bisogno di solidarietà.

In un comunicato, comparso a dicembre scorso sul portale ‘zonalocale’, il legale di Italo D’Elisa, l’avvocato Pompeo Del Re, puntualizzava infatti che il suo assistito non era “un pirata della strada” in quanto “subito dopo il sinistro, pur essendo anch’egli ferito e gravemente scosso, non ha omesso soccorso, ma ha immediatamente allertato le autorità competenti e chiesto l’intervento del personale medico-sanitario”.

Inoltre, affermava che gli esami “medici e ospedalieri avevano accertato “che il medesimo non guidava in stato di ebbrezza, né con coscienza alterata dall’uso di sostanze stupefacenti”, concludendo “come la dinamica del sinistro evidenzi una serie di fatalità non imputabili all’indagato”. Lo stesso portale ‘zonalocale’, ospitava la replica della famiglia di Roberta Smargiassi, attraverso una nota del legale Giovanni Cerella.

Questi evidenziava che “il capo di imputazione a carico dell’uomo è omicidio stradale aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale relative all’eccessiva velocità e al mancato rispetto del segnale con luci rosse dell’impianto semaforico”. “Il consulente nominato dal sostituto procuratore – aggiungeva – ha ricostruito minuziosamente la dinamica del sinistro mortale ed ha concluso che ‘Le responsabilità dell’accaduto sono chiaramente ed unicamente riconducibili’ all’indagato”.

Mai un pentimento, mai una parola di scuse. Probabilmente però, a tracciare un solco insuperabile tra le due famiglie, ha contribuito quel cordoglio che la famiglia Smargiassi attendeva per la morte della loro Roberta e che, come scriveva l’avvocato Cerella, “nessun componente della famiglia del 21enne, indagato compreso, ha espresso”, così come le dichiarazioni fatte dalla famiglia del giovane, ritenute dai congiunti di Roberta “offensive e dolorose”.