Vittorio Sermonti è morto: divulgò Dante con passione

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Novembre 2016 - 09:19 OLTRE 6 MESI FA
Vittorio Sermonti è morto a Roma all'età di 87 anni

Vittorio Sermonti è morto a Roma all’età di 87 anni

ROMA – Vittorio Sermonti è morto a Roma all’età di 87 anni. E’ morto a Roma all’età di 87 anni Vittorio Sermonti, studioso, narratore, regista radio e tv e grande esperto di Dante di cui offrì una originale lettura contribuendo a una sua riscoperta e una divulgazione intelligente. L’ultimo romanzo, l’autobiografico “Se avessero”, è entrato quest’anno nella cinquina del Premio Strega. Pochi giorni fa postò un ultimo twet, quasi un congedo: “Cari amici, mi prendo qualche giorno di riposo. I vostri commenti mi faranno compagnia”.

‘Dante è duro e severo e per affrontarlo e farlo capire bisogna essere duri e severi” affermava Vittorio Sermonti, prendendo le distanze da una certa leggerezza ”divertente” per ”adescare il pubblico” che vedeva invece nell’approccio di Roberto Benigni alla Commedia. Così le sue letture e spiegazioni dell’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso che lo hanno reso popolare in Tv ma anche in piazze, chiese e teatri, hanno sempre avuto un livello alto, con spiegazioni però chiare per metterle alla portata di chiunque avesse avuto voglia di seguirlo con impegno.

In questo rispetto per la poesia e la letteratura è un po’ il senso di tutta la vita di questo intellettuale un po’ appartato, dall’aria mite e lo sguardo ironico capace di diventare tagliente, che sin dai suoi esordi come scrittore con ”Giorni travestiti da giorni” uscito nel 1960 (dopo che una prima parte era apparsa col titolo ”La bambina Europa”) è come confessasse che si può crescere, diventare uomini solo riuscendo a raccontarsi, a parlare di sé come personaggio, che in quanto tale ha una sua storia definita.

Nato a Roma nel 1929 nella famiglia numerosa di un avvocato benestante, sarà insegnante di lettere al liceo Tasso, poi lavorerà in Rai (come autore e firmando oltre 120 regie radiofoniche), scrittore e giornalista (da L’unità al Corriere della Sera – e noto è il suo ”Dov’è la vittoria?” sui campionati mondiali di calcio vinti dall’Italia nel 1983), traduttore, soprattutto per il teatro, docente di tecnica del verso all’Accademia nazionale d’Arte Drammatica, negli anni ’80 si dedica alla lettura critica della Divina Commedia integrale che realizza per la Tv nel 1987 e porta in giro per l’Italia sino ai primi anni 2000 recitando in San Francesco a Ravenna, Santa Maria delle Grazie a Milano, Santa Croce a Firenze e altri luoghi monumentali in Italia e all’estero.

Dal 2006 traduce e legge allo stesso modo l’Eneide e poi Le Metamorfosi di Ovidio. Nelle pagine di ”Giorni travestiti da giorni” racconta il proprio essere cresciuto sotto il fascismo, gli inganni della prima giovinezza, rivisitati con garbo e partecipazione per evidenziare  l’ambiguità e il frivolo nonsense della vita.

Sono temi che maturati, posti all’incontro tra certe illusioni ideologiche e il prevalere dei valori dell’uomo, nel sentire privato e nel sociale, si ritrovano nella scrittura lucida e ferma, sentimentale e dolorosamente ironica del suo libro più bello, ”Il tempo tra cane e lupo”, dichiarazione d’amore per quella meravigliosa città che è Praga fatta in 89 brevi racconti, affresco al tempo della fine del socialismo dal volto umano e l’invasione dei carri armati sovietici nel 1968.

E i fantasmi di quel che è stato e avrebbe potuto essere tornano nel suo ultimo, recente romanzo ”Se avessero”, finalista allo Strega nel luglio scorso, che prende l’avvio dal fatto che un gruppo di partigiani al momento dei regolamenti di conti non sparò a suo fratello fascista davanti a tutta la famiglia.

Fatto cui ritorna sempre ripercorrendo la propria vita in una sorta di flusso di coscienza dalla scrittura di costruzione molto letteraria, tra politica e poesia, tra vita e teatro (che è stato un suo rilevante impegno lavorativo), tra passioni e azioni che, in un rincorrersi di passato e presente, vanno dagli anni della guerra a oggi, dal mondo intellettuale romano ai 15 mesi di vita a Praga, alla passione per Dante che gli viene dalla figura per molti versi centrale del libro, suo padre, che col tempo prende una diversa luce rispetto ai contrasti giovanili.

Dante appunto, cui quando decide di dedicarsi, ex allievo di Natalino Sapegno, va a chiedere l’approvazione e la collaborazione di Gianfranco Contini e quindi registra un’integrale lettura della Commedia con puntuale e suggestiva parafrasi per Rai3, poi pubblicata con successo in tre volumi dedicati alle tre cantiche, come grande eco hanno poi le sue letture pubbliche.

In un grande e personale volume antologico di tutta la sua produzione, uscito lo scorso anno col titolo ”Il vizio di scrivere”,  in questo senso appare rivelatorio lo scritto ”La cosa poesia”, che per Dante ”non è altro che finzione fatta a norma di retorica e musica”, frutto di quella lingua che lo affascina e recita definendola ”ibrida e battesimale, erudita e popolare, che coinvoglia tutti gli stili come un torrente furibondo di pioggia, e si permette scandalose oscillazioni di registro, accatastando vocaboli, suoni, rumori ritmi e rime di ogni risma”.

Intellettuale vivace e di vasta e profonda cultura, scrittore, critico e attore, divulgatore d’alto livello (ci sono anche i suoi 14 racconti derivati dalle partiture di 14 opere di Verdi) chiude la propria antologia con ”La morte non esiste”, inedita raccolta di aforismi e storielle esemplari: ” Sostengo – ha dichiarato – che questa signora che viene quando vuole e ti sorprende in realtà non c’è. Ci sono le persone che a un certo punto se ne vanno e con le quali non hai più rapporti: vengono sfilate, creano una ferita, ma poi la ferita si rimargina. La morte non esiste, esistono i morti e a un certo punto mi viene il sospetto che praticamente non esistano che loro”.