Blue Whale porta al suicidio, ecco le storie… Ma Blue Whale non esiste

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 18 Maggio 2017 - 12:45 OLTRE 6 MESI FA
Blue Whale porta al suicidio, ecco le storie... Ma Blue Whale non esiste

Blue Whale porta al suicidio, ecco le storie… Ma Blue Whale non esiste

ROMA –Blue Whale porta al suicidio, è un percorso che quando lo intraprendi non ne esci più, fino all’altima stazione che è quella del togliersi la vita, ecco le storie, si possono leggere, discutere, commentare…Ma Blue Whale non esiste.

Psicosi o suggestione. E’ in bilico tra questi due estremi il ‘Blue Whale‘, il gioco che porterebbe al suicidio adolescenti in tutto il mondo, tornato di recente all’attenzione del grande pubblico, e che forse non esiste affatto. Sembra un paradosso o un errore sintattico, ma è esattamente così. Il fenomeno ‘Blue Whale’ potrebbe aver seguito lo stesso percorso delle fake news, le notizie false prive di qualsiasi relazione con la realtà che, praticamente, si autoalimentano grazie alle condivisioni on line sino a diventare vere e reali, o almeno percepite come tali, proprio grazie al loro grado di diffusione. Per questo folle, assurdo gioco potrebbe essere andata allo stesso modo.

Potrebbe cioè essere vero solo parte o addirittura nulla di quello che viene raccontato e, sopratutto, relazioni artificiose tra fatti in realtà slegati avrebbero fornito una lettura falsata della realtà.

Ma andiamo con ordine: cos’è il ‘Blue Whale’? E’ quello che viene impropriamente definito un gioco e che in realtà è una sorta di percorso che porta adolescenti, o comunque soggetti evidentemente deboli o fragili psicologicamente, al suicidio. Un percorso a cui si aderirebbe volontariamente, attraverso canali on line, ma da cui non si potrebbe uscire. Ad impedirlo le minacce del ‘master’, la guida che assegna le varie prove da portare a termine, teoricamente in possesso di informazioni in grado di distruggere la famiglia dell’allievo. Le prove da sostenere sarebbero una cinquantina, consistenti per lo più in atti di autolesionismo e visione di film e musica horror. Ovviamente, ad accompagnare e rendere credibile e preoccupante per i genitori e per il grande pubblico in generale il gioco, ci sono storie. Storie di ragazzi che si sono tolti la vita, foto, racconti con particolari al limite del morboso, articoli di giornale, contatti, amici di amici che hanno saputo…

E poi forum, blog, gruppi social e tutti quegli elementi che rendono un fatto, vero o virtuale, virale. La domanda vera da porsi è: da dove nasce tutto questo, le informazioni alla base della storia sono verificate o almeno verificabili? Una domanda cui prova a rispondere Lorenzo Fantoni sul Corriere della Sera. E la risposta è no, non sono verificate e non sono verificabili. Il punto primo è che la maggior parte delle storie legate al ‘Blue Whale’ viene dalla Russia, e per colpa della lingua oltre che della non esattamente trasparente realtà di quel Paese, è per questo non verificabile. Come non verificate erano le informazioni contenute in un articolo del sito russo Novaya Gazeta apparso nel 2016 e prima uscita ‘ufficiale’ del ‘Blue Whale’.

Articolo che racconta di decine di ragazzi che si sarebbero suicidati nell’arco di sei mesi, e articolo che ha in sé tutti gli elementi adatti a renderlo virale, dalle informazioni in russo ad un grado di morbosità che ne aumenta le letture. Secondo il sito alcuni dei suicidi facevano parte di gruppi su VKontakte, il più diffuso social network russo. Novaya Gazeta parla di almeno otto morti legate a questo gioco, “tuttavia – scrive Fantoni – una successiva inchiesta di Radio Free Europe non ha trovato riscontri fondati a questa affermazione. I suicidi ci sono stati e VKontakte sarebbe pieno di gente che posta immagini di ferite autoinflitte e chiede di poter giocare a questo gioco, ma paradossalmente sembra tutta una vicenda che si autoalimenta basandosi sulla suggestione.

In molti hanno criticato l’articolo di Novaya Gazeta, sia per la mancanza di dati verificabili, sia perché scambia la causa per l’effetto. Stando a quanto dichiarato infatti molti ragazzi si sarebbero ammazzati seguendo i gruppi su VKontakte che trattano l’argomento, ma è molto più plausibile invece che una persona con tendenze suicide segua forum o comunità online che discutono dell’argomento, piuttosto che lo diventi dopo averle seguite”. Se questa è la genesi, ci sono poi molti altri ingredienti nel successo mediatico del ‘Blue Whale’ che fanno sospettare della sua esistenza e della sua veridicità. Dall’idolo Rina Palenkova, diventata icona del suicidio ma che secondo diverse analisi sarebbe stato creato ad arte e a scopi pubblicitari, sino al film “Nerve”, uscito nel 2016 e che tratta di tematiche simili, in grado di generare ancor più confusione tra finzione e realtà, azione ed emulazione.