Ibernazione post-mortem. I cento cervelli in attesa del risveglio

di Redazione Blitz
Pubblicato il 18 Novembre 2016 - 10:22 OLTRE 6 MESI FA
Ibernazione post-mortem. I cento cervelli in attesa del risveglio

Ibernazione post-mortem. I cento cervelli in attesa del risveglio

ROMA – Ibernazione post-mortem, cos’è. I cento cervelli in attesa del risveglio. Un giudice inglese ha autorizzato la richiesta di una malata terminale di 14 anni affinché una volta deceduta non fosse sotterrata ma ibernata tramite criogenesi negli Stati Uniti nella speranza che un giorno, quando la tecnica lo consentirà, possa essere risvegliata e guarita con cure finalmente efficaci. Una sentenza che, mentre introduce una cornice legale al desiderio di non estinguersi, sta facendo scalpore.

Sono più di quanto si immagini le persone che non si rassegnano alla morte e confidano nelle scoperte del futuro cercando di congelare il presente. Un’aspettativa messianica che assegna alla scienza il ruolo della fede per eludere l’affronto della morte. Un sogno fantascientifico alimentato dall’entusiasmo positivista di fine ottocento che ha via via perso il suo carattere utopico/illusorio di pari passo con i progressi della tecnica. Che in America sono all’ordine del giorno: l’ultimo a febbraio scorso, quando è stato ‘scongelato’ per la prima volta con successo un cervello di coniglio.

Le cellule cerebrali dopo essere state portate -165 gradi centigradi non presentano danni. E’ solo il superamento di un ostacolo, ma abbastanza per accendere gli entusiasmi sulla possibilità di ibernare in futuro il cervello umano e dare speranza anche agli oltre 100 cervelli in attesa di ‘risveglio’.

La tecnica, messa a punto da Gregory Fahy e Robert McIntyre dell’azienda californiana 21st Century Medicine e descritta sulla rivista Journal of Cryobiology, riesce a prevenire la disidratazione drenando il sangue e sostituendolo immediatamente con una sostanza che protegge i tessuti dalla formazione di cristalli di ghiaccio. Ibernare dopo la morte il proprio cervello per farlo riattivare tra decenni o secoli quando forse esisteranno nuove tecnologie per riportarlo in vita è un sogno su cui più sempre più persone hanno scommesso in questi ultimi anni.

L’idea nasce a inizio secolo ispirata dalla letteratura di fantascienza e con il sostegno di Robert Ettinger, considerato il padre dell’ibernazione. Un grande successo fu ottenuto nel 1955 quando ricercatori americani riuscirono a ‘risvegliare’ topi conservati a una temperatura di 0 gradi centigradi. Per ibernare nel tempo è necessario però raggiungere temperature molto inferiori (circa -200C) e al momento non esistono metodi capaci di ibernare un cervello umano senza produrre danni ai tessuti né tanto meno riportalo successivamente in funzione.

Se le tecniche di risveglio sono ancora molto lontane, quelle di ‘congelamento’ stanno facendo importanti progressi. Uno dei problemi principali, ora vicino ad essere aggirato, è quello dovuto al congelamento dell’acqua presente nei tessuti che porta alla creazione di cristalli di ghiaccio. Per evitarne la formazione i ricercatori sono riusciti a rimpiazzare il sangue dei tessuti con una molecola (glutaraldeide) che protegge le cellule.

Il cervello è stato così raffreddato a -135 gradi e una volta ‘scongelato’ non ha presentato nessun segno di danni. La tecnica è ancora lontana dal poter permettere di riattivare l’organo ibernato, anche perché la molecola usata risulta tossica, ma rappresenta in ogni caso un importante passo in avanti. Nonostante le numerose incognite sono però già più di 100, tra cui anche qualche italiano, le persone che hanno scelto di inscriversi ai programmi di ibernazione proposti da aziende private come Alcor o Cryonics Institute, con costi che partono da circa 40mila euro.

Tra i pochi nomi pubblici, molti non sono conosciuti per tutelarne la privacy, c’è anche uno dei fondatori della moneta elettronica BitCoin Hal Finney, e quello di Matheryn Naovaratpong, la bambina di appena 3 anni morta per un tumore il cui corpo è stato ibernato dai genitori nella speranza che un giorno sarà possibile curare o quanto meno per aiutare la ricerca medica.