Isis, l’acqua come arma: chiude la diga di Ramadi in Iraq e asseta gli abitanti

di Redazione Blitz
Pubblicato il 3 Giugno 2015 - 23:52 OLTRE 6 MESI FA
Isis, l'acqua come arma: chiude la diga di Ramadi in Iraq e asseta gli abitanti

La diga di Ramadi

BAGHDAD – L’ultima arma dei terroristi dell’Isis è la sete: nella provincia irachena di Anbar, al confine con quella di Baghdad, i miliziani jihadisti hanno chiuso le condotte della diga di Ramadi sull’Eufrate, limitando l’afflusso di acqua in alcune località da loro assediate ad est della città.

Da parte loro, l’esercito e le milizie sciite cercano di riconquistare Ramadi e gli Stati Uniti parlano di “passi avanti reali” dall’inizio della campagna aerea della Coalizione internazionale, con l’uccisione di non meno di 10.000 jihadisti, rispondendo così alle critiche di scarso impegno mosse ieri dal premier iracheno Haidar al Abadi.

In Siria, tuttavia, il cosiddetto Stato islamico è ancora all’offensiva nella regione nord-orientale di Hasake, dove ha lanciato un attacco all’omonima città capoluogo, difesa da forze regolari di Damasco e da milizie curde. Fonti locali hanno detto che l’Isis ha cercato per il secondo giorno consecutivo di impadronirsi della prigione minorile a sud del centro abitato, usando anche due attentatori suicidi.

Sempre in Siria è di circa 20 morti, tra cui alcuni bambini, il bilancio di bombardamenti governativi a nord di Aleppo. Quattro barili-bomba sono stati sganciati da elicotteri di Damasco su Tel Rifaat, località controllata da insorti che si oppongono sia al regime sia allo Stato islamico. E l’ambasciata americana in Siria (che è chiusa ma continua a comunicare attraverso il suo account Twitter) ha accusato il regime di condurre raid “a sostegno dell’avanzata dell’Isis verso Aleppo”.

In Iraq 70 persone, tra le quali civili, sono state uccise in un raid aereo su Hajiwa, località nel nord controllata dall’Isis. Ma non è chiaro se i jet fossero iracheni o della Coalizione. Mentre il governatore della provincia di Anbar, Sabah Karhut, ha confermato all’emittente Al Arabiya il drastico abbassamento del livello dell’Eufrate nei pressi di Habbaniya e Khaldiya, centri minori sulla strada per Baghdad e assediati dall’Isis, in seguito alla chiusura della diga di Ramadi. “Si rischia la tragedia umanitaria”, ha detto Rafea Fahdawi, leader di una tribù locale in lotta contro l’Isis.

L’obiettivo a più breve termine delle forze lealiste irachene rimane proprio strappare allo Stato islamico il controllo di Ramadi, capoluogo di Anbar, caduto il mese scorso nelle mani dei jihadisti. Nella controffensiva sono schierate anche le milizie sciite, alcune alleate dell’Iran, la cui presenza in una provincia a maggioranza sunnita rischia di infiammare ulteriormente gli odi interconfessionali.

L’ex generale americano John Allen, inviato del presidente Barack Obama per la Coalizione internazionale, ha detto oggi che anche le formazioni paramilitari sciite hanno un ruolo da svolgere contro l’Isis, ma ha avvertito che “tutte le forze in campo devono rimanere sotto il comando e il controllo del governo iracheno”. E non, dunque, di ufficiali iraniani. Da parte sua, dopo l’incontro di martedì a Parigi con i ministri degli Esteri dei Paesi della Coalizione e con il premier iracheno, il vice segretario di Stato Usa, Tony Blinken, ha assicurato che oltre 10.000 jihadisti dell’ Isis sono stati uccisi da quando sono cominciati i raid contro il Califfato in Iraq e in Siria, lo scorso anno. Lo Stato islamico, ha ammesso Blinken, rimane flessibile e in grado di prendere l’iniziativa, ma “ci sono stati passi avanti reali” perche’ “l’Isis ora controlla il 25% in meno del territorio”. “Questa sarà una campagna lunga, ma ce la faremo se rimaniamo uniti, determinati e concentrati”, ha aggiunto il vice segretario di Stato.