Myanmar. Aung San Suu Kyi da eroina a zarina, vicino ai militari contro i musulmani

di Redazione Blitz
Pubblicato il 31 Agosto 2017 - 06:55 OLTRE 6 MESI FA
Myanmar. Aung San Suu Kyi

Aung San Suu Kyi

Myanmar. Aung San Suu Kyi da eroina a zarina, troppo vicino ai militari, insensibile alle minoranze e contro i musulmaniMentre Aung San Suu Kyi intraprendeva una lotta nazionale contro decenni di duro governo militare in Myanmar, al suo fianco uno studente di medicina lavorava instancabilmente, affrontava i militari che per schiacciare il movimento democratico, usavano le armi da fuoco.
Per il suo attivismo e la lealtà, Ma Thida ha passato sei anni in prigione, per lo più in solitudine, e a causa delle malattie contratte era sul punto di morire, scrive dawn.com
Ma ora, il medico, romanziere che ha ricevuto riconoscimenti internazionali per i diritti umani, Ma Thida ha poche parole gentili per l’ex mentore che una volta chiamava “mia sorella, che è sempre nel mio cuore”.
Le critiche di Ma Thida e di altri sostenitori più strenui sono molteplici: accusano Suu Kyi di ignorare la violenza statale contro le minoranze etniche e i musulmani, continuano a imprigionare giornalisti e attivisti, volgendosi verso i generali di Myanmar al potere e non coltivando i leader democratici che potrebbero subentrare quando lei, che ora ha 72 anni, uscirà di scena.
Alcuni concludono che Suu Kyi, che ha sostenuto la democrazia con tanta passione, ha sempre avuto una tendenza all’autoritarismo, emersa solo quando ha acquisito il potere.
“Non possiamo aspettarci che possa cambiare il Paese in un anno e mezzo, ma almeno un forte approccio basato sui diritti umani” sostiene Ma Thida sulla vincitrice Nobel per la Pace, una volta salutata come la “Giovanna d’Arco di Myanmar” e che parlava come Nelson Mandela in Sudafrica e il Mahatma Gandhi in India.
La critica internazionale si è concentrata sulla mancanza di azione o la condanna alla violenza da parte di Suu Kyi per i musulmani, circa 1 milione, di Rohingya, che dal 2012 sono brutalizzati dalle forze di sicurezza e dai fanatici della maggioranza buddista nel Mianmar occidentale.
Più di 1.000 Rohingya sono stati uccisi, mentre circa 320.000 vivono in campi squallidi a Myanmar e nei confini del Bangladesh, secondo le stime dell’Human Rights Watch e delle Nazioni Unite. In migliaia si sono imbarcati in viaggi pericolosi in mare verso altri paesi del Sud-Est asiatico.
“La violenza contro il gruppo etnico Rohingya non è un evento isolato”, afferma Stella Naw, analista della minoranza etnica Kachin che si concentra sulla riconciliazione nazionale. “Conosciamo il ruolo dell’esercito ma come personaggio politico, Suu Kyi è responsabile della sua inazione e la mancata condanna dell’esercito”.
Il governo di Suu Kyi ha vietato a un gruppo d’indagine delle Nazioni Unite di entrare nella regione e all’inizio di agosto ha respinto l’asserzione dell’ONU secondo cui le azioni del regime, “molto probabilmente” sono state crimini contro l’umanità e di pulizia etnica.
Il report di febbraio afferma che le forze di sicurezza avevano commesso omicidi di massa, scagliato i bambini nel fuoco e le bande violentato le donne musulmane. Il governo, per questa scia di sangue, ha per lo più incolpato i militanti islamici.
Sulla pagina ufficiale di Suu Kyi, lo scorso anno, c’era un messaggio “Fake Rape” (Finto stupro). 
Per anni, Suu Kyi ha sfidato coraggiosamente i militari, bloccata per 15 anni agli arresti domiciliari, separata dal marito britannico e dai due figli per guidare la sua Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) che alle elezioni del 2015 ottenne una vittoria schiacciante. Spesso denominata “la signora”, dalla massa continua a essere considerata come liberatrice da cinquant’anni di oppressione militare.
“Quando era all’opposizione, era incredibile, eloquente, ma all’improvviso adesso siamo di fronte al silenzio. Ora che il Myanmar è tornato sulla strada della democrazia, tutti si aspettavano una maggiore apertura ma non è stato così”, dice Khin Zaw Win, prigioniero politico per 11 anni e ora capo dell’Istituto Tampadipa, un think tank della società civile.
Da quando, nell’aprile del 2016, ha ottenuto l’incarico, Suu Kyi ha guadagnato la reputazione di essersi allontanata e di controllare le informazioni.
Le spiegazioni al suo atteggiamento sono disparate: da tragica eroina che combatte per vincere sfide impossibili a essere invece una despota con un lato morbido che riserva ai militari.
Suu Kyi ha spesso detto che ha ereditato un’affinità con le forze armate dal padre Gen. Aung San, un eroe militare che ha combattuto per l’indipendenza dalla Gran Bretagna.
Riflettendo su questa ipotesi, un sito Internet satirico chiamato Burma Tha Din Network ha scherzato che la Suu Kyi ora in carica è  un clone creato da genetisti russi, assunti dai generali di Myanmar per eliminare i suoi geni democratici e che la vera Suu Kyi è detenuta dalle forze armate.
Forse il punto di vista più diffuso è che semplicemente non può calcare la mano sulla sua agenda democratica o sulle richieste per i diritti umani, così che i militari non la estromettano dal potere. Anche se il suo ruolo come leader governativo la pone al di sopra del presidente, i militari mantengono la presa salda su tre ministeri chiave che controllano le forze dell’ordine, l’amministrazione locale e le zone di frontiera incriminate, nonché un mandato del 25% dei seggi in Parlamento.
Alcuni non sono d’accordo e dicono che il suo mandato popolare le dà la forza per sfidare i generali ma Khin Zaw Win è lapidario:”E’ una scusa continuamente ripetuta quella che “l’esercito è ancora in politica, domina la Costituzione … perciò siamo distrutti. Non è prigioniera dei militari”.
Ciò che manca, dice Khin Zaw Win, è il coraggio morale nell’affrontare i diritti umani e la capacità di affrontare altri problemi al di fuori dei militari, come l’economia. Nel frattempo, i militari si preparano alle elezioni del 2020.
Mark Farmaner del gruppo per i diritti umani Burma Campaign UK, sostiene che Suu Kyi può essere anche vincolata dalla situazione politica, ma ci sono molte aree in cui ha la libertà di agire e non lo ha fatto.
L’associazione per i prigionieri politici ha riferito che a luglio, 225 persone erano ancora in carcere o in attesa del processo.
La settimana scorsa, il governo di Suu Kyi ha accolto con favore la relazione di una commissione guidata dall’ex segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che raccomanda un rapido sviluppo economico e una giustizia sociale per combattere la violenza tra i buddisti e i musulmani di Rohingya nello Stato di Rakhine.
Ma Suu Kyi ha anche ignorato pubblicamente gli attacchi continui e le atrocità dell’esercito nei confronti dei gruppi etnici degli Stati di Kachin e Shan, erodendo ulteriormente la fiducia nel suo governo.
Alcuni critici dicono che Suu Kyi non è intrappolata dai generali, ma dalla sua storia e da quella di Myanmar, che ha sopportato secoli di monarchia, colonialismo britannico e dittature militari. Al contrario, il paese ha vissuto solo 15 anni di democrazia.
Suu Kyi ha espulso i membri del partito dissidente, raramente ha parlato alla stampa e ha preso decisioni autonomamente senza cercare l’aiuto di consulenti capaci.
Khin Zaw Win osserva che il gen.  Ne Win, che ha governato con il pugno di ferro per 26 anni, ha inizialmente goduto di un legame con il popolo ma è diventato sempre più lontano e dispotico, circondato solo da “yes men”.
“Sembra che stia seguendo le sue orme. Dopo aver raggiunto l’apice del potere pensa di poter andare avanti da sola”, osserva Khin Zaw Win.
“È una vera tragedia”, dice Naw, analista Kachin. “Ha perso tantissimo, la sua famiglia, i suoi anni agli arresti, le persone che per lei sono andate in prigione e per lei avrebbero dato la vita. Si spezza il cuore vedendo ciò che è diventata”.