Il mistero della nave invisibile: l’esperimento di Philadelphia

Pubblicato il 20 Gennaio 2010 - 15:28 OLTRE 6 MESI FA

Philadelphia, 1943: un cacciatorpediniere della marina statunitense, l’Eldrige,  viene sottoposto a un curioso esperimento magnetico per farlo diventare invisibile ai radar. Qualcosa, però, non va secondo i programmi degli scienziati: la nave sfugge al controllo, viaggia nello spazio, forse addirittura nel tempo e quando “torna” al molo molti soldati sono morti. Gli altri, come si conviene in ogni spy story rispettabile, vengono messi a tacere. Con le buone o con le cattive.

Philadelphia, 1943: al molo del porto non c’è nessun cacciatorpediniere. C’è la guerra e l’Eldridge, come tutte le altre navi della marina Usa, è in mare a combattere per la libertà. L’esperimento magnetico? Tutte balle, lo assicurano anche i (pochi) soldati a bordo della nave.

Due scenari completamente incompatibili per un mistero, il presunto “esperimento di Philadelphia”, che continua a far discutere ad oltre mezzo secolo di distanza. Secondo alcune testimonianze dell’epoca, il test ci fu davvero e la nave, dopo essere stata avvolta da una nebbiolina verdastra, scomparve dal porto per riapparire qualche minuto dopo. Per ottenere il risultato gli scienziati avrebbero messo sulla nave due maxi bobine, una a poppa e una a prua, per iper-magnetizzarla.

A bordo, però, si verificò il disastro: alcuni marinai impazzirono, altri sparirono nel limbo spazio-temporale, altri ancora, addirittura, furono trovati “fusi” nelle strutture metalliche dell’Eldridge. C’è di più: altri testimoni, chiaramente all’oscuro dell’esperimento, affermano di aver visto la nave, nello stesso giorno, in Virginia, a 600 chilometri da Philadelphia. E non manca, ovviamente, chi ha teorizzato un viaggio nel tempo: con un copione degno di “Ritorno al Futuro”, la nave  per qualche minuto, sarebbe ricomparsa nel 1983, un balzo in avanti di 40 anni.

Nessuna di queste ipotesi, però, trova oggi un testimone dell’evento pronto a mettere la faccia per sostenerla. Secondo i fautori della teoria del viaggio spazio temporale il “problema” si risolve denunciando un complotto per mettere a tacere quanto accaduto. Una visione confermata dalle “sparizioni” di alcuni marinai, successiva al ritorno dell’Eldridge. Uno, in particolare, sarebbe scomparso pochi mesi dopo il mistero in un bar poco prima di un’irruzione della polizia. I “negazionisti” però sostengono che il ragazzo, semplicemente fu nascosto perché era minorenne e il barista non voleva guai. Una cosa è certa: del mistero di Philadelphia si iniziò a parlare quasi subito dopo la presunta data del test.

Esperimento o meno, però, la teoria del “bombardamento magnetico” che rende invisibili non è poi così peregrina. Lo dimostra uno studio recente di un gruppo di ricercatori cinesi che, hanno messo in fila una serie di particelle microscopiche sull’acqua e hanno ottenuto discreti risultati proprio grazie a una serie di campi magnetici. Il tutto, però, oltre mezzo secolo dopo e con particelle microscopiche, non certo con un cacciatorpediniere.

Negli anni ’40 del problema si era occupato Albert Einstein con teorie che, però, non hanno retto al vaglio della storia. Un altro studioso che si interessò non poco della questione fu Nikola Tesla, scienziato geniale ma eterodosso che, dalla fine degli anni ’30 iniziò, circostanza sospetta, a lavorare all’università di Princeton, a due passi da Philadelphia. Possibile, quindi, che il test ci sia stato e che, in seguito sia stato apposto il segreto militare. Da qui a parlare di marinai fusi nel ferro, però, ce ne corre.