Russia, respinta la causa del nipote di Stalin su Katyn: vero l’eccidio del dittatore

Pubblicato il 21 Settembre 2010 - 17:38| Aggiornato il 22 Settembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Stalin

Una corte di Mosca ha respinto oggi la causa intentata da Ievgheni Dzhungashvili, nipote di Stalin, contro l’archivio nazionale russo, accusato di aver falsificato i documenti sull’implicazione del dittatore sovietico nel massacro di 22 mila ufficiali polacchi a Katyn nel 1940. Lo riferiscono le agenzie.

Dzhungashvili chiedeva ai giudici di riconoscere come ”non corrispondenti alla realtà” i documenti messi on line dall’archivio il 28 aprile scorso su ordine del leader del Cremlino Dmitri Medvedev, nell’ambito di un riavvicinamento politico a Varsavia.

Domandava anche la rimozione di quei documenti e un risarcimento per danni morali di 10 milioni di rubli (245 mila euro). La corte ha però respinto l’istanza, riservandosi di depositare le motivazioni in seguito.

Si tratta della terza causa di fila persa dal nipote del dittatore, che in precedenza aveva querelato radio Eco di Mosca e la Novaya Gazeta, giornale di Anna Politkovskaia, accusandoli di aver diffamato il buon nome del nonno attribuendogli crudeltà infondate.

Tra i documenti di Katyn messi su internet – declassificati nel 1992 e già trasmessi a Varsavia – uno dei più rilevanti è una nota del capo della polizia politica Nkvd, Lavrenti Beria, controfirmato da Stalin, nella quale si propone di fucilare sommariamente gli ufficiali polacchi.

L’eccidio staliniano tra l’aprile e il maggio del 1940 nelle foreste di Katyn, vicino alla città russa occidentale di Smolensk, è una delle pagine meno conosciute ma più buie del Novecento e sicuramente una delle maggiori mistificazioni dell’Urss: le responsabilità del regime comunista furono ammesse solo nel 1990 dall’allora presidente sovietico Mikhail Gorbaciov. Fino ad allora Mosca aveva continuato ad attribuire ogni colpa ai nazisti, che invece avevano scoperto il massacro nel 1943 durante l’invasione dell’Unione Sovietica.

Dopo la svolta di Gorbaciov, la procura generale russa aprì un’inchiesta che si è conclusa dopo oltre dieci anni nel 2005 con l’individuazione dei colpevoli (tutti morti), ma escludendo il genocidio o il crimine di guerra, come chiede ancora la Polonia. Due terzi dei faldoni processuali (116 su 183) sono ancora coperti dal segreto di Stato, confermato anche negli anni scorsi dall’allora presidente Vladimir Putin. Contro questo segreto l’ong Memorial ha avviato una causa discussa proprio oggi a porte chiuse da un tribunale di Mosca, il cui esito non è stato reso noto.