Soviet Soviet, band italiana deportata dagli Usa: “Immigrati clandestini”

di redazione Blitz
Pubblicato il 11 Marzo 2017 - 12:38 OLTRE 6 MESI FA
Soviet Soviet, band italiana deportata dagli Usa: "Immigrati clandestini"

Soviet Soviet, band italiana deportata dagli Usa: “Immigrati clandestini”

SEATTLE – Alessandro Costantini, Andrea Giometti e Alessandro Ferri erano atterrati negli States mercoledì 8 marzo, per una serie di concerti sulla West Coast. Ma non sono mai usciti dall’areoporto. Gli agenti della dogana li hanno fermati, interrogati per ore, ammanettati e portati in carcere. Poi li hanno rispediti in Italia, bollandoli come “immigrati clandestini”.

E’ la terrificante disavventura vissuta da una band italiana, il cui tour promozionale negli Stati Uniti è stato stroncato sul nascere per colpa del clima di iper-vigilanza voluto da Donald Trump. Lo raccontano gli stessi protagonisti sulla loro pagina Facebook:

“Ci siamo presentati muniti dell’Esta, della lettera della nostra etichetta americana e dell’invito scritto del SxSw di Austin […] Siamo stati sottoposti a tre interrogatori divisi in tre piccole stanze dell’ufficio. Abbiamo fatto in modo che gli agenti parlassero direttamente anche con il proprietario dell’etichetta americana senza ottenere alcun successo. Dopo quasi 4 ore di domande ci hanno letto il verdetto. Avevano deciso di rimandarci in Italia e di negarci l’entrata negli Stati Uniti”.

I Soviet Soviet erano stati invitati per un tour promozionale “senza percepire pagamento”, precisano. Ma gli agenti della dogana non gli hanno creduto. Gli hanno sequestrato i cellulari, li hanno perquisiti, ammanettati e portati in carcere.

“Abbiamo passato la notte in cella scortati come alla stregua di tre criminali – raccontano – Il giorno seguente, dopo aver sbrigato la procedura del carcere (foto, dichiarazione di buona salute e firme), altri due agenti ci sono venuti a prelevare. Perquisizione, manette e camionetta. Ci hanno portato all’ufficio controlli del giorno precedente dove abbiamo atteso il nostro volo di ritorno che era verso le 13.00 ora locale. Solo in prossimità della partenza ci sono stati ridati i cellulari e le borse e siamo stati scortati fino all’entrata dell’aereo”.

Ma quale era il problema? I tre, secondo le leggi Usa, avrebbero dovuto dotarsi di un visto di lavoro e non un semplice visto turistico, dal momento che l’entrata a due dei concerti del tour cui avrebbero partecipato era a pagamento. Hanno tentato in tutti i modi di spiegare che non avrebbero percepito alcun compenso. Ma non c’è stato nessun modo di convincere gli agenti.

Su Facebook abbondano i commenti di indignazione e solidarietà, soprattutto da parte degli americani. La maggior parte inveisce contro Trump e la psicosi immigrati da lui creata.