Travaglio racconta la notte “misteriosa” dell’ictus di Bossi

Pubblicato il 4 Ottobre 2012 - 16:28| Aggiornato il 4 Dicembre 2015 OLTRE 6 MESI FA
Marco Travaglio racconta la notte “misteriosa” dell’ictus di Umberto Bossi

ROMA – Della notte in cui Umberto Bossi fu colpito da ictus, quell’11 marzo 2004, molto si è chiacchierato. Le varie versioni ufficiose dell’accaduto sono raccolte ne “L’Illusionista” (Chiarelettere, 13 euro), libro scritto da Marco Travaglio, Pino Corrias e Renato Pezzini, una biografia non autorizzata del leader della Lega Nord, “già barista, fattorino, installatore di antenne, impiegato all’Aci, supplente, infermiere, finto medico, cantante”.

Molti dei racconti apocrifi di quella notte misteriosa includono fra i protagonisti la coca, il sesso, il viagra e la soubrette bresciana Luisa Corna, che ha sempre seccamente smentito non solo di essere presente quell’11 marzo, ma anche di conoscere Bossi.

Dagospia riporta il passaggio del libro dedicato a quei pettegolezzi che hanno sempre dato molto fastidio, non solo a Luisa Corna:

Il resoconto ufficiale del malore, quello avallato dalla famiglia, racconta di una vigilia tormentata. Umberto il 10 sera è a casa. Dovrebbe partire di lì a poco con il figlio Renzo per Varese, destinazione il Palazzetto dello Sport, per assistere a un incontro di basket insieme con Giancarlo Giorgetti, il segretario della Lega Lombarda. Sta nevicando di brutto. Intorno alle nove di sera Giorgetti racconterà di avere ricevuto una telefonata dalla famiglia: “Appuntamento annullato, Umberto resta a casa, non si sente bene”. 

Che genere di malore? Una persistente difficoltà a respirare. Che diventerà agitazione e poi insonnia. Fino alle fatidiche 5 del mattino, quando Manuela Marrone chiede aiuto via telefono e l’ambulanza si mette in viaggio. 

Tutto chiaro? Neanche per sogno. Perché prima nei passaparola, poi in Rete, comincia a girare una seconda versione del malore di Bossi. Assai più fiammeggiante. Che spazza via la scena domestica, parla della camera di un Motel, parla di sesso, di Viagra, di cocaina, di una corsa disperata dell’autista nella notte piena di neve e di un segreto da custodire. Che non è solo di Bossi, ma anche della donna che stava con lui, indicata in quel resoconto senza prove: la soubrette bresciana Luisa Corna. 

L’intera storia, piena di dettagli, compresa la foto della camera del Motel, compare il 17 giugno 2004 su Indymedia, sito di controinformazione, a sua volta rilanciato da decine di altri siti. Dice che la sera del 10 marzo 2004: “Umberto Bossi si apparta con la showgirl in una delle camere del Park Motel di Castellone in provincia di Cremona. Prende Viagra, sniffa (…) si sente male al punto da manifestare un principio di emorragia cerebrale (…) deve essere ricoverato immediatamente, tuttavia per paura che l’imbarazzante vicenda finisca sulla stampa Luisa Corna non chiama subito un’ambulanza, ma avverte alcuni leghisti molto vicini a Bossi (…) Solo dopo alcune ore, ormai grave, è trasportato all’ospedale di Varese, a 120 chilometri da Castellone”. 

Tutto chiaro? Neanche per sogno. Perché arriva una terza versione della notte fatidica. Con la medesima concatenazione di eventi, ma ambientata in una location diversa: un grande appartamento a Brescia, dove oltre a Luisa Corna e a Umberto ci sarebbero state altre persone, le prime a soccorrere Bossi, a avvertire l’autista e a organizzare il doppio trasporto, prima nella casa a Gemonio per depistare gli eventuali curiosi, poi all’ospedale. 

Luisa Corna smentisce una volta, due volte, tre volte. Già nel 2005 su “Novella 2000” rivendica la sua verità: “Non sono la pupa di Bossi”. Anzi: “Neanche lo conosco”. Versione sempre ribadita negli anni, fino a una nuova intervista a “Oggi”, anno 2011: “Questa storia mi ha rovinato l’esistenza. Lo ripeto una volta per tutte: io Bossi l’ho incontrato la prima e ultima volta a un concorso di Miss Padania. Ma più che conosciuto, l’ho intravisto”. E’ esasperata, ma impotente, la chiacchiera vive di vita propria, cancellata cento volte, rinasce altre cento. 

La famiglia e la Lega alle chiacchiere oppongono la sola arma efficace: il silenzio. Ma solo fino al 27 aprile 2010, quando la leggenda della notte fatale approda sulla prima pagina di “Repubblica”. A sorprendere più della storia è la firma di chi la racconta, Pietro Citati, letterato d’alte virgole, studioso di Leopardi, Kafka, Tolstoj, narratore eclettico, mite d’animo e curioso di tutto, dalle farfalle a Omero. 

Il titolo del pezzo è un depistaggio, sembra introdurre a un elzeviro: “Le bretelle della Repubblica ai tempi del Viagra”. Ma a leggerne l’astruso inizio conduce a una sorpresa: “Io non so nulla del viagra: non so se sia un tubero, un ravanello, un tartufo, un topinambur, una medicina indiana o una semplice pasticca. 

E insomma a farla breve “ecco una favola” che lo riguarda: “Come tutti sanno Umberto Bossi anni fa disse che la Lega “celhaduro”. E allora una sera per provare i suoi doni sessuali Bossi andò con una ragazza in uno degli innumerevoli alberghi che decorano i paesotti (…) e per accrescere la propria forza ingoiò non una ma due pasticche di viagra. Gli venne un colpo e di notte, segretamente, venne portato in una clinica svizzera”. Eccetera. 

Il botto stavolta lo sente anche la Lega che risponde a palle incatenate contro Citati, definito un “vecchio, rancoroso e inattivo”. Castelli gli dice “che ha perso l’umanità” e “vive di invidia”. Matteo Salvini che il suo pezzo è “una cosa vomitevole”. Mentre Luca Zaia, governatore del Veneto, agli insulti preferisce il solfeggio: “E’ venuta meno qualsiasi regola di normale decenza. Qui manca il rispetto per la persona, per i suoi familiari, per chiunque”. 

C’è una sola persona che di sicuro sa come sia andata quella notte. Si chiama Aurelio Locatelli, bergamasco, quarantenne, fisico da lottatore, che fa l’autista di Bossi. Anzi faceva. (…)