Austerità, Giuliano Amato il pentito: “Tesi sbagliate”

Pubblicato il 1 Maggio 2013 - 07:44| Aggiornato il 1 Marzo 2023 OLTRE 6 MESI FA

Giuliano Amato, vent’anni dopo, riconosce la fine del”circolo vizioso del rigore” e ne scrive, sul Sole 24 Ore, come se un altro e non lui fosse stato a capo del primo dei due governi (l’altro è stato quello di Mario Monti) che hanno messo in ginocchio l’Italia non per metterne s posto i conti ma per infliggerci una inutile quanto dannosa flagellazione collettiva.

Certo, rispetto a quella provocata da Monti con un perfido ghigno, la recessione indotta da Amato appare rose e fiori. Ma anche allora i ristoranti erano vuoti e tutto si era fermato.

Se lo avessero fatto Presidente della Repubblica o capo del Governo, non sappiamo cosa sarebbe stato capace di negare Giulian Amato, forse anche di essere stato il più stretto collaboratore di Bettino Craxi. ora scrive che

“si è rivelata sbagliata la tesi di Alberto Alesina, secondo la quale l’austerità avrebbe fatto erompere la crescita. Quella di Carmen Reinhart e Ken Rogoff, secondo la quale un debito pubblico superiore al 90% è incompatibile con lo sviluppo, è risultata inficiata da errori matematici”.

Ormai

“tra gli economisti sono in pochi a dubitarne”.

La teoria, provata in corpore vili, non ha retto.

Amato, alla cui epoca risale il termine “stangata” applicato agli inasprimenti fiscali, e al quale si deve l’idea di una imposta patrimoniale, questo più di recente, in pieno scandalo Ruby, tanto che qualcuno pensò a un diversivo inventato dallo stesso Berlusconi, scopre una

“abnorme pressione esercitata sui contribuenti”.

Ora bisogna

“che l’attenzione si sposti sulle prospettive di crescita”.

L’evoluzione di Amato segue di ore la presa di posizione del premio Nobel Paul Krugman, che dalle colonne del New York Times e da quelle di Repubblica per la versione italiana aveva dichiarato morta  l’idea di austerità ma aveva anche constatato che, tuttavia, mentre

 ” gli eventi nel mondo reale hanno rapidamente svuotato di significato le previsioni del fronte pro-austerity […] la teoria a favore dell’austerità ha mantenuto, e persino rafforzato, la propria presa sull’élite. Perché? La risposta è sicuramente da ricercare in parte nel diffuso desiderio di voler interpretare l’economia alla stregua di un racconto morale, trasformandola in una parabola sugli eccessi e le loro conseguenze. Abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi, narra il racconto, e adesso ne paghiamo l’inevitabile prezzo. Gli economisti possono spiegare ad nauseam che tale interpretazione è errata, e che se oggi abbiamo una disoccupazione di massa non è perché in passato abbiamo speso troppo, ma perché adesso spendiamo troppo poco, e che questo problema potrebbe e dovrebbe essere risolto.

“Tutto inutile: molti nutrono la viscerale convinzione che abbiamo commesso un peccato e che dobbiamo cercare di redimerci attraverso la sofferenza”.

Pensare che gli interessi dei ricchi non sono certo agevolati da una depressione prolungata”. Krugman aveva scritto:

“Ne dubito, dal momento che solitamente un’economia prospera è un bene per tutti. Ciò che invece è vero, è che da quando abbiamo optato per l’austerità i lavoratori vivono tempi cupi, ma i ricchi non se la passano così male, avendo tratto vantaggio dall’incremento dei profitti e dagli aumenti della Borsa a dispetto del deteriorare dei dati sulla disoccupazione. L’ 1 per cento della popolazione non auspica forse un’economia debole, ma se la passa sufficientemente bene da rimanere arroccato sui propri pregiudizi”.

Abbiamo scritto in proposito:

“Se uno mette a queste teorie due facce, quella di Giuliano Amato e quella di Mario Monti, il giudizio di Paul Krugman appare più che azzeccato.

“Giuliano Amato, per “salvare” l’Italia dalla perdizione, nel 1992 ci fece precipitare in una recessione che prima avevamo scansato e che ci portò diritti in braccio a Berlusconi.

“Mario Monti, per salvarci e anche farci cambiare le abitudini, ci ha fatto precipitare in una risi ancora più grave e ci ha portato diritti in braccio allora a Berlusconi e ora a Beppe Grillo”.