Austerity, sbagliati i conti: Ash, Herndon e Pollin contro i tagli

Pubblicato il 18 Aprile 2013 - 12:14| Aggiornato il 25 Gennaio 2023 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – L’alto debito pubblico è nemico della crescita, dicevano gli economisti Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart, economisti di Harvard. Sulle loro tesi ha trovato fondamento la politica di rigore ed austerità degli Stati Uniti prima, e dell’eurozona poi, quando la crisi del 2008 causò la recessione. Tesi che però era sbagliata. Michael Ash, Thomas Herndon e Robert Pollin, tre giovani economisti dell’università del Massachussetts, hanno scoperto che i calcoli erano sbagliati.

Rogoff e Reinhart hanno ammesso l’errore, ma difendono la loro tesi secondo cui Paesi con un debito pubblico superiore al 90% del Pil la crescita economica cala.  E per questo anche il premio Nobel Paul Krugman si inserisce nel dibattito, bacchettando gli economisti di Harvard: “La relazione tra alto debito pubblico e bassa crescita c’è, ma vale al contrario. E’ la bassa crescita che causa l’aumento del debito pubblico”, ha scritto Krugman sul suo blog.

ROGOFF, REINHART E L’ERRORE – Secondo i calcoli di Rogoff e Reinhart, basati sui dati economici dei Paesi dal 1945 ad oggi, i Paesi con un debito oltre il 90% del proprio Pil, come ad esempio l’Italia che è al 130%, hanno avuto una crescita negativa di -0,1%. I tre giovani economisti però hanno ripreso i dati e li hanno analizzati scoprendo che in realtà la crescita non è negativa, ma del +2,2%. Certo non si tratta di una crescita enorme, ma un risultato positivo che ribalta la tesi di Harvard.

DOVE HANNO SBAGLIATO? – Gli errori sono almeno due, spiega Maurizio Ricci su Repubblica. Il primo riguarda un errore di codice di Excel, programma usato per l’analisi dei dati:

“Uno è puramente materiale (“la maledizione di Excel” l’hanno subito definita colleghi comprensivi, riferendosi al software con cui, abitualmente, si compilano le tabelle sul computer): un errore di codificazione ha escluso completamente dai calcoli Paesi come Australia, Austria, Belgio, Canada e Danimarca”.

Il secondo errore invece è “più scivoloso”, spiega Ricci:

“Un secondo errore, più scivoloso, è la decisione di escludere alcuni Paesi, in alcuni anni. Ad esempio, nel periodo 1946-51, gli autori considerano solo l’ultimo per la Nuova Zelanda (che, all’epoca, aveva un debito oltre il 90 per cento), quando il Paese registra una recessione del 7,6 per cento. Avessero considerato tutti e cinque gli anni, avrebbero registrato una crescita media del 2,6 per cento. L’errore è, infine, amplificato dal sistemazione di ponderazione dei risultati utilizzato dagli autori”.

“ABBIAMO SBAGLIATO, MA…” – Dopo un iniziale imbarazzo per Rogoff e Reinhart, che hanno ammesso l’errore, i due economisti sono tornati a difendere il proprio lavoro, spiega Ricci su Repubblica:

“Alle critiche, Reinhart e Rogoff hanno replicato con qualche imbarazzo, ammettendo l’errore di tabulazione e attribuendo l’esclusione dal calcolo di alcuni anni, per certi Paesi, alla mancanza dei relativi dati, al momento della stesura del loro saggio. Ma difendono il messaggio principale del loro lavoro, cioè il collegamento fra debito e crescita: «La crescita ad alti livelli di debito – dicono – è la metà del tasso di espansione che si registra ai livelli più bassi di debito». Che, però, non assomiglia affatto alla formula per cui, oltre il 90 per cento di debito rispetto al Pil, si va in recessione. E che è, per certi versi, anche un po’ ovvia.”.

KRUGMAN ROVESCIA HARVARD – Il premio Nobel Krugman, che alla necessità di austerity professata dalla teoria di Rogoff e Reinhart non aveva mai confidato del tutto, ora riconosce la “buona fede” degli economisti, ma ne ribalta i risultati, spiega Stefano Lepri su La Stampa:

“Facendo i conti anche lui sui soli Paesi del G-7, Krugman nota che la relazione tra debito e bassa crescita vale per Giappone e Italia, non vale affatto per la Gran Bretagna. Mentre Ash, Herndon e Pollin professano cautela, lui taglia netto: «La storia ci dice che sia l’Italia, sia soprattutto il Giappone, hanno fatto ingenti debiti a causa della bassa crescita, non il contrario».

In Italia non ne siamo tanto sicuri. Il nostro debito pubblico si gonfiò soprattutto negli anni ’80, quando l’economia non andava affatto male, 2,5% di crescita in media all’anno, contro il 2,4% scarso della Germania. E che sia un grave rischio, questo debito, lo abbiamo sperimentato in abbondanza prima nel 1992, con la lira, poi nel 2011, con l’euro. Se indebitarsi fosse sempre efficace, molti nostri governi sarebbero riusciti a mantenere le loro promesse”.

AUSTERITY SI O NO? – Il mito dell’austerity, alla luce dei nuovi dati, comincia a scricchiolare, spiegano Lepri e Ricci. Scricchiolio che di certo non aiuterà Obama, diviso tra i repubblicani che chiedono una politica del rigore e i democratici che spingono per allentare il clima di austerity. Nemmeno la Germania e l’eurozona, che in tempi di crisi hanno fatto dell’austerity la parola “sacra” per gli stati membri, sarà contenta. Ma per Lepri il confronto tra Usa e Italia è d’obbligo:

“Di risparmio ce n’è tanto nel mondo, ce n’è anzi in eccesso. Lo stesso Rogoff lo ha scritto più volte. E se i privati non investono, in una certa misura a questo risparmio è bene che attingano gli Stati. Il guaio è che con una finanza mondiale instabile forse solo gli Stati di cui i mercati si fidano, come gli Usa, possono continuare a indebitarsi senza rischio; mentre dell’Italia si fidano poco”.