Malumori in Fiat con il Corriere della Sera: Mucchetti “casus belli”

Pubblicato il 18 Gennaio 2011 - 13:13 OLTRE 6 MESI FA

Sergio Marchionne

Alla Fiat non sarebbero piaciuti gli articoli di Massimo Mucchetti apparsi sul Corriere della Sera riguardo all’ad Sergio Marchionne, ai suoi compensi e al suo piano. Secondo quanto ricostruisce Stefano Feltri su “Il Fatto Quotidiano” la patata bollente sarebbe partita da un dispaccio dell’agenzia Radiorcor venerdì 11 gennaio che faceva riferimento a “una richiesta formale di verifica” fatta da alcuni soci di Rcs Quotidiani e indirizzata al presidente Piergaetano Marchetti.

La linea editoriale del quotidiano non sarebbe gradita ai vertici del Lingotto e oggetto specifico sarebbe la penna del giornalista Mucchetti. Poi il sito Dagospia rilancia l’indiscrezione: ci sarebbe una lettera a firma del presidente della Fiat, John Elkann, e dal capo di Pirelli, Marco Tronchetti Provera. Il 9 gennaio 2011 Mucchetti aveva scritto un articolo dal titolo “Marchionne e lo stipendio del dipendente Fiat”, che faceva i conti sui compensi del leader Fiat, pari a 38 milioni l’ anno.

Il 12 gennaio dalle pagine web del sito Lettera 43 si legge del direttore Ferruccio De Bortoli nel mirino, della lettera e di alcuni “mal di pancia” dei soci. Il sito scrive: “Tronchetti Provera, poi, storicamente è sempre stato critico verso le posizioni di Mucchetti, tanto da non aver per nulla gradito la sua assunzione al quotidiano di via Solferino nel ruolo di vice direttore ad personam”. Dopo Paolo Panerai, editore del gruppo Class, ne parla ancora su Milano Finanza. Dal Lingotto però non arriva nessuna smentita ufficiale sul casus belli.

Secondo quanto scrive Stefano Feltri a questo punto c’è chi dice che nel comunicato diffuso dopo i risultati del referendum di Mirafiori “Sergio Marchionne si riferiva più al Corriere che alla Fiom quando parlava di critiche “ingiuste e spesso frustranti””.

Il 15 gennaio sul quotidiano di via Solferino era proprio a firma di Mucchetti il pezzo sulla Fiat dal titolo “Più lavoro e più democrazia” e il giornalista scriveva: “Capita che molti votino turandosi il naso nelle situazioni difficili, e questa della Fiat lo è in sommo grado, se solo si guarda al crollo delle vendite in Europa nel 2010, più del triplo della concorrenza; se solo si pensa a come la bandiera della modernità sia ormai passata da Mirafiori al Quarto capitalismo delle multinazionali tascabili. Parlare di attentato alla Costituzione quando accordi analoghi sono stati firmati dalla stessa Fiom in grandi aziende piemontesi come la Sandretto è pura polemica. Come diritto individuale lo sciopero non è toccato. Rinunciare a proclamarlo per un periodo è una scelta contrattuale dei sindacati firmatari, magari discutibile, ma non un tradimento di classe, visti i precedenti in Italia e all’ estero”.

Che questa scelta sia stata una mossa di resistenza di De Bortoli alle tensioni? Feltri parla di “esegeti di via Solferino che sostengono che la Fiat si è stancata di essere tra i soci, quello su cui De Bortoli esercita più spesso la sua autonomia”.