Gioia Tauro, il porto sta chiudendo. “Devo chiedere aiuto alla ‘ndrangheta?”

di Riccardo Galli
Pubblicato il 25 Gennaio 2011 - 13:06 OLTRE 6 MESI FA

A queste condizioni Gioia Tauro chiude, chiude il porto ed è come se chiudesse Mirafiori sette/ottocento chilometri più al Sud. Il porto perde dieci milioni e mezzo di euro l’anno, i costi per l’attracco sono da un quarto a cinque volte quelli della concorrenza, l’assenteismo è intorno al 15 per cento, la produttività per addetto è bassa e ferma. Dunque, se si va avanti in questo modo, non si va avanti: il porto di Gioia Tauro ha i giorni contati. Se non cambiano i tassi di produttività, se non diminuiscono i costi e non si riduce l’assenteismo si va tutti a casa.

“La situazione è così assurda che, assurdo per assurdo, allora dico che sarei pronta anche ad accordarmi con la ‘ndrangheta per far crescere la produttività di Gioia Tauro”, a parlare è Cecilia Battistello, in arte Lady Shipping, la signora che gestisce, tra gli altri, il porto calabrese di Gioia Tauro. La sua è ovviamente una provocazione e anzi ci tiene a ribadire che lei e il “suo” porto nulla hanno a che spartire con la criminalità organizzata, e ci tiene in particolar modo perché da sempre si maligna su un presunto patto che il fondatore del porto Ravano avrebbe stretto con le ‘ndrine: “Ravano è morto due anni prima che partisse il terminal. L’unica che avrebbe potuto fare un accordo con la mafia sono io, e non l’ho fatto. La Commissione Antimafia ha le prove del contrario? No, e allora basta”.

Ma la situazione dello scalo marittimo calabrese è pessima e se non bastassero le parole di Lady Shipping ci sono i numeri a dimostrarlo. Attraccare a Gioia Tauro costa, tutto compreso, il 25% in più di quanto si paga a Port Said in Egitto e il 500% in più di quanto si spende a Malta, due dei principali porti competitor di Gioia Tauro. In Calabria, in un’ora, si movimentano circa 22 container, a Port Said 30. L’accise applicata dall’Italia sui prodotti energetici usati nello scalo è di 0,423 euro al litro a fronte di un minimo stabilito dalla comunità europea di 0,021 euro al litro. Un’ora di lavoro di un operaio calabrese costa circa 22 euro mentre a Tangeri lo stesso lavoro viene pagato 3 euro e a Port Said 2. La somma di tutto questo si traduce in 10,5 milioni di euro di perdita annua per la Contship, la società che gestisce il porto di Gioia Tauro. “Io ho creduto in questo terminal e ci credo ancora. – continua la Battistello – Ma non posso continuare a perdere 10,5 milioni di euro l’anno, come è stato nel 2009 e nel 2010: è più del guadagno complessivo in tutti gli altri terminal. Ho degli azionisti a cui rispondere”.

“Il mercato è fatto da tre compagnie di navigazione – spiega – la danese Maersk, la svizzera Msc, la francese Cma-Cgm. La prima, che è azionista anche del nostro terminal, ci ha detto che costiamo di più rispetto a Port Said e che dunque dirotterà i suoi container in Egitto. I francesi hanno scelto Malta. Resta Msc”.La società di Gianluigi Aponte, seconda flotta portacontainer al mondo, vuole entrare nel capitale del terminal calabrese, e sta trattando, ma al di là di questo impone le sue tariffe: “Con lui lavoriamo sottocosto, in perdita. Ma se vogliamo i suoi volumi di traffico devo accettare” spiega Lady Shipping. Serve competitività e, infatti, aggiunge che “ha ragione Marchionne: se non sei competitivo non vai più da nessuna parte. Gioia Tauro movimenta 21-23 container l’ora, contro i 30 di Port Said. Saliamo a 30, dico ai sindacati, un livello di produttività realistico e io sono disposta a dare incentivi al personale”. E punta il dito contro l’assenteismo che ha raggiunto “livelli insostenibili. La media è del 14% con punte del 17% in estate, quando gli operai vanno al mare”. Nonostante questo quadro avvilente la Battistello vede un futuro: “i traffici via mare e via container continueranno a crescere. E le navi diventeranno sempre più grandi. Chi deve far arrivare merci nel Mediterraneo Orientale dal far East avrà bisogno di un hub centrale come il nostro. Non possono andare tutti al Pireo o a Port Said. Quest’anno perderemo più dei 10,5 milioni del 2010 e gli azionisti dovranno mettere mano al portafoglio. Ma potrebbero anche non farlo: significherebbe portare i libri in tribunale. E comunque sia, non possiamo andare avanti così”. Il futuro di questo scalo non riguarda solo Lady Shipping che se anche Gioia Tauro chiudesse di certo avrebbe di che sfamarsi, ma è legato anche al destino di circa 3000 lavoratori, considerando anche l’indotto, che di questo porto vivono. E forse allora, al di là della provocazione, sarà davvero la ‘ndrangheta a salvare Gioia Tauro se è vero che, come scrive una relazione del 2006, attraverso lo scalo calabrese transita l’ottanta per cento della cocaina colombiana destinata al mercato europeo.