Privatizzazioni di Letta: Enel e Eni, ipotesi vendita quote

Pubblicato il 19 Luglio 2013 - 13:46 OLTRE 6 MESI FA
Le privatizzazioni di Letta: Fincantieri, Ferrovie e Poste sì, Enel e Eni no

Le privatizzazioni di Letta: Fincantieri, Ferrovie e Poste sì, Enel e Eni no

ROMA – Le privatizzazioni di Letta: Fincantieri, Ferrovie e Poste sì, Enel Eni forse.

Un’intervista di Fabrizio Saccomanni a Bloomberg Tv da Mosca, dove si trova per il G20 dei ministri finanziari, lascia ritenere che anche Eni e Enel potrebbero essere coinvolte nel disimpegno partecipativo dello Stato:

La vendita di quote è una possibilità che «stiamo considerando». «Queste società – ha aggiunto – sono profittevoli e danno dividendi al Tesoro, quindi dobbiamo considerare anche la possibilità di utilizzarle come collaterale per gli schemi di riduzione del debito pubblico su cui stiamo ragionando. Ci sono – ha concluso il ministro – una serie di ipotesi che stiamo prendendo in considerazione.

Tuttavia una nota successiva del ministro dell’Economia smentisce ipotesi di cessione, implicitamente confermando l’orientamento generale del governo che considera strategica la partecipazione del Tesoro i Eni ed Enel. Lo precisa il Tesoro in merito alle parole del ministro Saccomanni, che ha parlato ”di strategia di riduzione del debito, formulando diverse ipotesi di valorizzazione del patrimonio pubblico, senza mai citare specifiche società ”.

Il governo Letta comunque il capitolo privatizzazioni lo ha riaperto. Per ora in sordina (anche sulla scorta dei piani poi abortiti di Tremonti prima e di Monti poi) ma in autunno ripartirà il grande progetto per aggredire il debito pubblico attraverso l’alienazione di partecipazioni statali e di messa in vendita di pezzi di patrimonio immobiliare (500 miliardi tra immobili e aziende) un po’ come avvenne negli anni ’90 quando il debito fu riportato al 100% sul Pil.  Al vertice di maggioranza di giovedì 18 luglio è stata ritirata fuori la “pratica”, come ci informa Alessandro Barbera sul quotidiano La Stampa. Ne aveva parlato anche Renato Brunetta, capogruppo Pdl e responsabile economico del Pdl: “In autunno il premier farà una sorta di road show per spiegare ai mercati come l’Italia attaccherà il debito pubblico, una strategia che si basa sulla valorizzazione e le dismissioni del patrimonio pubblico”.

Pdl e Pd, pur con posizioni non coincidenti, si sarebbero convinti che il passo è inevitabile, anche perché altre vie per recuperare risorse sono esaurite e perché un piano, inevitabilmente di lungo termine, allargherebbe l’orizzonte temporale del governo mandando un segnale preciso agli investitori. Prima operazione da compiere è separare le partecipazioni strategiche da quelle che non lo sono.

Del resto il presidente del Consiglio lo aveva annunciato di fronte alla City di Londra un paio di giorni fa. Le dismissioni erano e sono un punto qualificante della sua fondazione, Vedrò. L’operazione non è per nulla facile, bisogna vincere resistenze e opposizioni. Si cita nell’articolo della Stampa il caso della vendita di Fincantieri del secondo governo Prodi (in cui Letta era sottosegretario alla presidenza) nel 2006/7: non se ne fece nulla, la spuntarono i sindacati, ma adesso il dossier è in coma alla lista delle potenziali cessioni. Il problema resta sempre quello di un progetto complessivo che insieme valorizzi i beni da mettere all’asta ed eviti svendite di Stato.

 

C’è un però: per fare buone privatizzazioni ci vogliono reti – così si dice in gergo tecnico «neutrali». Ne sa qualcosa chi la concorrenza ha iniziato a farla subendo la forza dell’operatore pubblico proprietario o azionista dell’infrastruttura. È il caso degli sgambetti subiti da Italo e Arenaways per iniziativa delle Ferrovie. Ecco perché, complice il riassetto Telecom (l’altra grande azienda insieme a Ferrovie ancora proprietaria della sua rete), il governo intende procedere rapidamente alla creazione di una grande società delle reti, un progetto al quale lavora da tempo la Cassa depositi e prestiti che ne sarà azionista di maggioranza. Sotto quel cappello finiranno tutte le grandi infrastrutture: le reti del gas e della luce di Snam e Terna (la prima già ceduta alla Cassa, la seconda oggi quotata e in parte sul mercato), i binari di Rfi, i fili e i tubi della Telecom. (Alessandro Barbera, La Stampa).