Mario Draghi: “Risparmi e tassi, in 4 anni è cambiato tutto”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 31 Ottobre 2015 - 09:33 OLTRE 6 MESI FA
Mario Draghi: "Risparmi e tassi, in 4 anni è cambiato tutto"

Mario Draghi: “Risparmi e tassi, in 4 anni è cambiato tutto”

ROMA –  Risparmi salvi e tassi scesi: in quattro anni “è cambiato tutto, proprio tutto”. Parola del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi che in una lunga intervista che apre il Sole 24 Ore di sabato 31 ottobre compie un bilancio di metà mandato alla guida dell’istituto di Francoforte e sottolinea che la Bce farà ancora “tutto il necessario” per centrare l’obiettivo di inflazione a medio termine.

“Le previsioni di crescita mondiale sono state riviste al ribasso. Probabilmente il rallentamento non è transitorio”, afferma. “La crisi ha causato un forte ribasso del reddito. Rialzarlo dipende da noi. Ciò richiede che si realizzino le riforme strutturali necessarie per aumentare la partecipazione della forza lavoro e la produttività”. “Le riforme strutturali non sono popolari, perché implicano un prezzo oggi per benefici che si materializzeranno in futuro, ma se l’impegno del governo è reale e le riforme sono credibili, i benefici si materializzano più rapidamente, e tra questi c’è anche lo spazio fiscale”, precisa. Le priorità “sono scelte politiche, che vanno lasciate completamente nelle mani dei governi”.

Draghi aggiunge che oggi sarebbe “prematuro limitare il menù di strumenti oggetto di analisi da parte dei comitati competenti e dello staff della Bce”. E per quanto riguarda il rapporto con la Fed, aggiunge, “non c’è un legame diretto tra quello che facciamo noi e quello che fanno loro”.   Dal discorso di Londra, quando disse che la Bce avrebbe fatto tutto il necessario, “whatever it takes”, per salvaguardare l’euro, per Draghi “le cose sono nell’insieme migliorate. Il rischio di frammentazione e di ridenominazione è diminuito di molto, se non sparito”. Quanto alla crisi greca, “la fiducia è stata recuperata bene”, “certo è stato un altro test molto difficile che l’Unione monetaria ha però saputo affrontare e superare”. “Il debito greco è sostenibile se, prima di tutto, il Governo adempie agli obblighi del programma che ha sottoscritto”, “secondo, la sostenibilità del debito richiede un suo alleggerimento”.

Per il presidente della Bce inoltre “l’unione bancaria va completata”, “anche perché in questo modo uno dei problemi che ha caratterizzato la crisi, il nesso bidirezionale tra banche e Stati sovrani, viene attenuato”.

Presidente Draghi, la settimana scorsa a Malta ha sottolineato i rischi al ribasso sia per la crescita sia per l’inflazione e in particolare ha insistito sugli sviluppi nei mercati emergenti. Anche negli Stati Uniti gli ultimi dati mostrano una crescita in netta frenata. Può quantificare i rischi per la crescita nell’eurozona?
Indubbiamente, le condizioni delle economie nel resto del mondo si sono rivelate più deboli rispetto a pochi mesi fa, in particolare nei mercati emergenti, con l’eccezione dell’India. Le previsioni di crescita mondiale sono state riviste al ribasso. Probabilmente il rallentamento non è transitorio. Per dare un’idea di quanto sono importanti questi mercati, ricordo che essi valgono il 60% del prodotto mondiale e che dal 2000 tre quarti della crescita mondiale sono dovuti a loro. La metà delle esportazioni dell’area euro va in questi mercati. Sicuramente vi sono dunque rischi al ribasso, sia per la crescita sia per l’inflazione, anche per il possibile rallentamento degli Stati Uniti, di cui bisogna capir bene le cause. La crisi ha causato un forte ribasso del reddito. Rialzarlo dipende da noi. Ciò richiede che si realizzino le riforme strutturali necessarie per aumentare la partecipazione della forza lavoro e la produttività. Nell’area dell’euro ci sono ancora almeno 20 milioni di disoccupati, molti di loro giovani, che occorre riportare nel mercato del lavoro. È un potenziale enorme.
A Malta si è detto anche «meno ottimista» per quanto riguarda le prospettive di inflazione. In base agli ultimi dati, il profilo dell’inflazione partirà da un punto più basso da quello che ci si aspettava anche solo a settembre, come si vedrà dalle vostre proiezioni macroeconomiche di dicembre. È ancora realistico a questo punto parlare di inflazione all’1,7% a fine 2017?
Farei una distinzione tra le previsioni del prossimo periodo e quelle di medio-lungo termine. Per quanto riguarda i prossimi mesi, il fattore che conta di più sarà il prezzo dei prodotti energetici. Prevediamo che l’inflazione resti vicino allo zero, anche negativa, almeno fino all’inizio del 2016. Dopo, l’effetto del forte declino dei prezzi del petrolio che si è avuto tra la fine del 2014 e la fine di quest’anno scomparirà dalla variazione dell’indice dei prezzi a distanza di un anno. Ciò porterà a un aumento puramente meccanico dell’inflazione.
Che cosa avverrà a medio termine?
A partire da metà del prossimo anno fino a tutto il 2017, grazie anche all’effetto ritardato del deprezzamento del cambio, prevediamo che l’inflazione aumenti gradualmente. Ma ciò che è importante osservare oggi è che già con le previsioni di settembre abbiamo ribassato le nostre aspettative di inflazione per il 2017 rispetto a quanto ci attendevamo a marzo quando abbiamo iniziato gli acquisti di 60 miliardi di euro di titoli pubblici ogni mese. Ci vorrà quindi più tempo di quanto previsto a marzo per tornare alla stabilità dei prezzi. Una buona notizia ci viene dalle aspettative di inflazione di medio termine che, dopo essere scese a settembre, sono oggi tornate a un livello superiore all’1,7%, non lontano dal nostro obiettivo di inflazione. Queste cifre vanno comunque prese con cautela perché queste aspettative hanno sempre mostrato una certa volatilità.
(…)
Sempre a Malta, ha parlato anche di «altri strumenti di politica monetaria». Che cosa aveva in mente?
Sarebbe oggi prematuro limitare il menù di strumenti oggetto di analisi da parte dei comitati competenti e dello staff della Bce. Il menu già disponibile è comunque imponente, basti pensare a quello che è stato fatto negli ultimi tre anni. È però prematuro dire che in ogni caso “il catalogo è questo” e che non vi sia altro.
Alla luce dei risultati ottenuti, pensa oggi che vi siate mossi troppo tardi con il Qe?
Io direi che complessivamente il consiglio si è mosso sulla base delle informazioni via via disponibili. Per quanto riguarda il disegno delle politiche, la marcia verso il Qe comincia con un discorso di Parigi a Sciences Po nel marzo 2014, continua con il discorso di Amsterdam dell’aprile dello stesso anno e si completa a Jackson Hole in agosto. In particolare, ad Amsterdam, si afferma che in presenza di un sostanziale deterioramento del quadro macroeconomico sulle prospettive d’inflazione a medio termine, l’acquisto di titoli pubblici può essere giustificato. Man mano che si sono verificate queste condizioni, abbiamo agito coerentemente con quel piano.
Ma con ritardo, o no?
Nell’insieme non direi che abbiamo agito con ritardo: abbiamo tenuto conto delle informazioni che si rendevano disponibili e contestualmente predisposto il quadro concettuale che ha condotto a quelle decisioni. Si tenga anche conto che nel caso dell’Unione monetaria le decisioni erano rese ancora più complesse perché bisognava valutare l’importanza relativa, per il calo dell’inflazione, dei riaggiustamenti di carattere strutturale nei Paesi che più necessitavano di ritrovare competitività, della caduta del prezzo del petrolio, e del vigoroso apprezzamento del tasso di cambio nel corso del 2013. Direi, in sintesi, che ciò che emerge da questa esperienza è che il framework di politica monetaria, reattivo fino alla fine del 2012, diventa proattivo con i discorsi cui ho accennato.
(…)
Proprio in materia di politica fiscale, c’è molta discussione in Europa a livello politico. Lei è stato uno dei primi a usare l’espressione fiscal compact nel dibattito europeo. Ritiene adesso, guardando indietro, che il grado di restrizione dei bilanci nell’Eurozona è stato troppo forte dopo la crisi, insomma c’è stato un eccesso di austerità che ha rallentato la ripresa nell’Eurozona?
Innanzitutto, ci sono Paesi che non hanno spazio per un’espansione di bilancio, in base alle regole che ci siamo dati. In secondo luogo, dove ciò è possibile, il bilancio deve poter espandersi senza pregiudicare la sostenibilità del debito. I Paesi ad alto debito hanno meno margini per fare questo. Ma lo spazio fiscale non è un dato di natura, si può ampliare, anche un Paese ad alto debito lo può fare. Come? Realizzando le riforme strutturali che fanno crescere il prodotto potenziale, il tasso di partecipazione, la produttività, tutti fattori che aumentano sostanzialmente il potenziale per le future entrate fiscali. Aumentando permanentemente il gettito si accrescono le possibilità di rimborso del debito domani e nello stesso tempo si creano le condizioni per un’espansione del bilancio oggi. Le riforme strutturali non sono popolari, perché implicano un prezzo oggi per benefici che si materializzeranno in futuro, ma se l’impegno del governo è reale e le riforme sono credibili, i benefici si materializzano più rapidamente, e tra questi c’è anche lo spazio fiscale.
Quale è stato l’impatto della vostra politica monetaria sull’Italia, in particolare sul credito e quindi indirettamente sulla ripresa che finalmente sta arrivando?
L’impatto della politica monetaria della Bce è chiaramente visibile nel costo dei prestiti bancari alle imprese e alle famiglie. Dall’annuncio delle misure di espansione creditizia del giugno 2014, in base ad un indice composito che misura il costo dei prestiti, questo è diminuito di 120 punti base per le imprese e di 80 punti base per le famiglie. Lo spread sovrano sui titoli decennali tra Italia e Germania, è sceso da 160 punti base all’inizio del giugno 2014 – per non parlare dei 600-700 punti base del 2012 – a circa 100 oggi. Il tasso d’interesse sui titoli a 2 anni italiani è vicino a zero, era superiore al 5 percento. Anche lo spread tra i mutui di oltre 1 milione di euro e quelli di piccola dimensione, fino a 250.000 euro, è diminuito. Effetti positivi si sono avuti anche sui volumi di credito. La nostra Bank Lending Survey mostra analoghi andamenti. Nell’insieme, l’attitudine delle banche italiane nei confronti dell’erogazione del credito è cambiata, è più aperta, e continua a migliorare.
In Italia è iniziata la ripresa. Lei ha auspicato che questa ripresa «da ciclica diventi strutturale» attraverso le riforme. Ci sono aree, per quanto riguarda l’Italia, di maggiore urgenza d’intervento da parte del Governo?
Queste sono scelte politiche, che vanno lasciate completamente nelle mani dei governi. Il menu delle riforme strutturali è ben noto. Ne ho parlato in molti discorsi in passato. Le scelte sono poi nelle mani dell’autorità politica eletta dai cittadini. Ma non credo che ci sia disaccordo sulla necessità delle riforme.
Domani compie quattro anni dal suo insediamento alla presidenza della Bce. È il momento di fare una riflessione su un periodo denso di avvenimenti. Cominciato con un taglio dei tassi alla prima riunione di consiglio da lei presieduta.
E un altro alla seconda!

(…)

La crisi greca, però, ha determinato una rottura della fiducia reciproca nell’area euro, un danno grave.
Non direi. In fondo la fiducia è stata recuperata bene, in primis dal Governo greco che oggi dialoga con le istituzioni europee in un clima di grande collaborazione. Il processo di ricapitalizzazione delle banche comincerà a breve, non appena saranno pubblicati gli elementi della nostra valutazione (oggi per chi legge ndr). Quindi non credo che sia rimasto un fondo di sfiducia. Certo è stato un altro test molto difficile che l’Unione monetaria ha però saputo affrontare e superare. È presto per dire una parola definitiva ma se noi oggi confrontiamo il dialogo attuale con il Governo greco con quello di cinque o sei mesi fa, vediamo una grossa differenza.
(…)
Parlando della Grecia, lei ha riconosciuto che, anche se metterà in atto il programma, Atene avrà bisogno di una ristrutturazione del debito. Pensa che questa debba esser fatta gradualmente, in modo da mantenere l’incentivo per il Governo greco a rispettare gli impegni?
Il debito greco è sostenibile se, prima di tutto, il Governo adempie agli obblighi del programma che ha sottoscritto, assumendosi la responsabilità, la ”titolarità”, del programma. Secondo, la sostenibilità del debito richiede un suo alleggerimento; che quest’ultimo deve essere di entità tale da togliere ogni dubbio sulla futura sostenibilità del debito stesso, una volta che la prima condizione si sia verificata. Che tipo di “debt relief” fare, come calibrarlo in maniera tale che gli incentivi ad adempiere al programma non vengano stravolti, sono decisioni dei Paesi membri, di coloro cioè sui cui bilanci si ripercuote questa decisione. Su ciò la Bce non ha niente da dire.
Questi quattro anni sono stati molto stressanti per tutti, immaginiamo per lei ancora di più visto il suo livello di responsabilità. Ci può dire che cosa l’ha aiutata a superare i momenti più difficili?
La forza delle convinzioni e la certezza o la speranza che le decisioni che prendiamo attenuino la sofferenza degli europei che hanno subito le conseguenze della crisi.