Ntv, Telecom: declino dei capitalisti italiani. Ma non diano la colpa ai politici

di Redazione Blitz
Pubblicato il 3 Settembre 2014 - 14:43 OLTRE 6 MESI FA
Ntv, Telecom: declino del capitalismo italiano. Ma non è solo colpa dei politici

Ntv, Telecom: declino del capitalismo italiano. Ma non è solo colpa dei politici

ROMA – Ntv, Telecom: declino dei capitalisti italiani. Ma non diano la colpa ai politici. Gravata da perdite di 156 milioni in due anni, da un debito di 781 milioni dopo otto anni di esercizio, la sfida Ntv che con Italo voleva competere con l’ex monopolista pubblico di Ferrovie dello Stato, appare come l’ultimo simbolo della debolezza dei capitani d’industria nazionali.

L’appello pubblico, tramite lettera aperta ai maggiori quotidiani, al presidente del Consiglio Matteo Renzi (appello a garantire concorrenza e difendere le aziende dalla politica) offre l’occasione ad Alberto Statera, per un impietoso bilancio sulle pagine di Repubblica (“Da Telecom a Ntv cronache marziane del capitalismo di casa nostra”) dove la ricerca di un capro espiatorio, la politica, nasconde difetti e debolezze strutturali: anemia finanziaria, assenza di visione e capacità, familismo amorale (che sembra tentare anche la mosca bianca Luxottica) in sostanza il fallimento dell’impresa privata nel paese del pubblico e dell’assistito.

Ed è solo l’ultimo (per ora) grano di un rosario (quello delle preghiere ne ha 59) che, andando a ritroso, allinea una lista penitenziale dell’italico capitalismo che sembra non finire più tra aziende in crisi, marchi prestigiosi venduti all’estero e pietre degli scandali: da Alitalia a Telecom Italia, da Merloni Indesit a Loro Piana e Bulgari, da Sai Ligresti (per stare al fronte delinquenziale) a Riva, solo per citare i casi più noti. (Alberto Statera, La Repubblica)

Non mancano, nel caso Ntv, alcune oggettive giustificazioni (per esempio il taglio delle agevolazioni tariffarie da parte del ministro ex Confindustria Federica Guidi) o l’arroganza del monopolista (si cita l’ex ad di Fs Moretti), o le invasioni di campo o il mancato supporto della politica (quando non veri agguati come nel caso del vicepresidente del Senato Gasparri). Ma tutte le perplessità su scelte e capacità gestionali del privato alla prova del nove restano intatte.

Ad esempio, quando (Ntv) fu affidata a quell’Antonello Perricone che in Rcs-Corriere della Sera soprannominarono “l’uomo del buco” per la sciagurata e testardamente perseguita acquisizione della spagnola Recoletos, che provocò una voragine di oltre un miliardo. Ma si sa, molti dei capitalisti italiani hanno nella politica l’amante preferita e, al tempo stesso, il capro espiatorio designato da sacrificare per qualsivoglia nefandezza, a cominciare dalle loro.

Prendete le geremiadi degli ultimi due giorni d’agosto del presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, mentre gli imprenditori suoi autorevoli soci fuggivano a gambe levate da Telecom Italia, una delle ultime grandi imprese nazionali, incassando la “disfatta del Paloma”, dal nome dello yacht di Vincent Bollorè a bordo del quale il capitalismo italiano ha preso l’ultimo (“y final”?) meritato insulto. Nello stesso giorno, l’inclito Squinzi pontificava nei pressi di quei campioni imprenditoriali di Cl e sussidiaria Compagnia delle Opere che «serve una politica che ci governi», che «bisogna avere una visione non punitiva verso le imprese, una visione contro la cultura anti-impresa».

Giusto. Ma mai, nelle ripetitive geremiadi squinziane, si è colto un sia pur vago accenno al neghittoso capitalismo italiano, sfarinatosi fortunatamente dopo la mistica dei “salotti buoni”, ma comunque totalmente incapace di visione, di progetti credibili e parco non tanto e non solo di capitali, ma di capacità e di voglia di investirli. (Alberto Statera, La Repubblica)