Parigi, 600 mq a 233 mila € fa 140 milioni: Carlo De Benedetti vende a Chanel

Pubblicato il 28 Luglio 2014 - 12:42 OLTRE 6 MESI FA
Parigi, 600 mq a 233 mila € fa 140 milioni: Carlo De Benedetti vende a Chanel

Carlo De Benedetti. Ha venduto a Chanel un negozio di 600 metri quadrati a Parigi per 140 milioni di euro, 233 mila euro a metro

MILANO – Un negozio a 233 mila euro a metro quadro, in totale 140 milioni di euro, è un botto, anche se il negozio è un mega locale di 660 metri quadrati, si trova a Parigi in una delle strade più lussuose del mondo. Se a vendere è stato Carlo De Benedetti, il suo arci rivale Berlusconi ha di sicuro avuto un travaso di bile.

Berlusconi non potrà mai perdonare Carlo De Benedetti per la stangata da 450 milioni di euro che il Tribunale di Milano gli ha inflitto, girando la somma alla Cir di cui Carlo De Benedetti è stato il fondatore e fino a poco tempo fa il maggiore azionista, a causa delle malefatte di Berlusconi nel tentativo di prendere la Mondadori, che gli è rimasta, e soprattutto Repubblica, che era della Mondadori e oggi è dei De Benedetti e che gli è stata sfilata da sotto il naso ormai vent’anni fa.
Un sogno che per Berlusconi è durato pochi mesi ma che lo ha perseguitato per vent’anni, fino alla sua rovina politica e alla gigantesca multa, un record nella storia giudiziaria italiana.
Ora, mentre Berlusconi si dibatte tra i frammenti del suo potere, Carlo De Benedetti se la passa alla grande, fa lui, non Berlusconi, l’editore di Repubblica; si è sganciato sul piano dell’immagine e anche del denaro dalla slavina di Sorgenia, lasciando l’onere al figlio Rodolfo De Benedetti  che l’aveva inventata; vende pezzi del suo patrimonio personale all’estero per centinaia di milioni, come è il caso di un negozio, si fa per dire, a Parigi.
Se Berlusconi avesse ancora dei capelli suoi, se li strapperebbe uno a uno. La sensazione deve essere così forte che anche chi, per esigenze professionali, per forza risente degli umori dell’ambiente, non può non entrare in simpatia.
Marcello Zacché, del Giornale, nel rilanciare la notizia data dal giornale francese Figaro e ripresa da Dagospia, trasecola: la grande casa di moda francese Chanel 
“ha sborsato 140 milioni all’Ingegnere per acquistare i muri del suo negozio al numero 51 di Avenue Montaigne. A vendere è stata una società di diritto italiano controllata al 100% dall’Ingegnere. L’operazione, secondo i primi riscontri planetari, fa segnare il record assoluto per una transazione immobiliare: 233mila euro al metro quadro. Più che mai chapeau.
Il negozio, che già occupava il locale, continuerà a pagare un affitto annuo di due milioni di euro alla casa madre Chanel, che avrà così un ritorno finanziario molto basso, meno dell’1,5%. Per il gruppo francese, controllato dalla famiglia Wertheimer, è il primo investimento immobiliare diretto. Ma, secondo il quotidiano Le Figaro, che ha dato la notizia, insieme con rue du Faubourg Saint-Honoré e Place Vendôme, Avenue Montaigne è una delle tre migliori posizioni di Parigi per lo shopping di lusso”. 
Così, constata Marcello Zacché, Carlo De Benedetti 
“ha dato un’altra lezione di capitalismo. […] L’operazione parigina è stata effettuata direttamente dalla famiglia De Benedetti e non da società con azionisti terzi. Quindi, tutto super trasparente”.
Qui terminano ammirazione e lodi. Aggiunge Marcello Zacché:
“Non può non balzare all’occhio che la stessa famiglia ha appena rifilato alle banche la sua società più disastrata: Sorgenia, gruppo elettrico indebitato per quasi due miliardi, finito in profondo rosso, salvato dal crac solo grazie all’intervento degli istituti di credito che per non perdere tutto ci hanno messo, per ora, 400 dei loro milioni. Mentre i De Benedetti, tramite Cir che controlla Sorgenia al 53%, si sono ben guardati dal partecipare al salvataggio.
Sarebbe bastata proprio una cifra come quella del negozio di Chanel: le banche avevano chiesto un impegno di 150 milioni. Invece niente: Cir ha preferito lavarsene le mani e lasciare che la società fallisse; o che qualcun’altro agisse con un diverso senso di responsabilità. Poco importa se le banche, in questo modo, saranno costrette a tenere impegnati chissà fino a quando ingenti risorse altrimenti destinabili ad aziende piccole o medie che li meriterebbero. E che così continueranno a licenziare, chiudere o a rischiare di farlo.
Ma il tema del corto circuito banche-aziende-credito è così condivisibile, che viene denunciato dagli stessi editorialisti delle testate del suo gruppo editoriale, L’Espresso: «Le nostre maggiori banche continuano a finanziare chi ha ampiamente dimostrato di saper unicamente accumulare debiti su debiti non mettendoci nulla o quasi di tasca sua». 
Come dare torto al bravo Tito Boeri, che così scriveva su Repubblica, due anni fa. O al vicedirettore Massimo Giannini, che si chiedeva «fino a quando il nostro capitalismo finanziario potrà far girare le risorse solo dove occorrono»? Siamo perfettamente d’accordo”.