Passera: “Se chiude l’Ilva ci rimettiamo 8 miliardi l’anno”

Pubblicato il 5 Settembre 2012 - 13:10 OLTRE 6 MESI FA

Corrado Passera

ROMA – Una eventuale chiusura dell’Ilva di Taranto ”complessivamente determinerebbe un impatto negativo che è stato valutato attorno ad oltre 8 miliardi di euro annui imputabile per circa 6 miliardi alla crescita delle importazioni, per 1,2 al sostegno al reddito ed ai minori introiti per l’amministrazione pubblica e per circa 500 milioni in termini di minore capacità di spesa per il territorio direttamente interessato”. Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera al Senato.

”In una fase di calo globale del mercato – ha proseguito il ministro – è evidente che l’eventuale uscita di uno stabilimento come quello di Taranto sarebbe guardata con estrema soddisfazione dai maggiori competitor europei e mondiali. Tali considerazioni – ha comunque assicurato – sono certamente importanti, ma in nessun caso possono, naturalmente, giustificare il mantenimento di situazioni di rischio ambientale e per la salute dei lavoratori e dei cittadini al di fuori delle normative”.

Il polo di Taranto, ha ricordato Passera, ”è uno dei principali poli siderurgici europei”, nel quale in questi anni l’azienda ha investito in modo ”importante a testimonianza di un interesse concreto dell’azionista a rimanere nel settore e nell’area”. Sotto il profilo strettamente industriale, ha aggiunto, ”la competitività dello stabilimento risulta comunque elevata potendo contare su tre fondamentali punti di forza: la possibilità di utilizzare un ciclo integrato, la possibilità di approvvigionamento di grandi quantità di materie prime da Paesi lontani tramite navi anche di grandi stazza, la possibilità di utilizzare stoccaggi importanti in funzione delle esigenze produttive”.

”Il venire meno di queste condizioni (ad esempio la chiusura della cokeria ovvero la riduzione dei volumi di stoccaggio) – ha avvertito – metterebbe l’impianto siderurgico fuori dal mercato come gia’ sta avvenendo in altri stabilimenti italiani che non possono contare su un ciclo completamento integrato”.