Quando si andava in pensione a 29 anni: quel milione di baby pensioni che costa 9,5 miliardi l’anno

di Viola Contursi
Pubblicato il 21 Agosto 2011 - 10:36| Aggiornato il 22 Agosto 2011 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La triste storiella delle pensioni all’italiana si potrebbe raccontare così: hanno goduto tanti e tanto prima, godranno pochi e poco adesso. Se, infatti, il sistema pensionistico italiano ha grossi problemi, e il governo per risparmiare tenta di tagliare ancora le pensioni, è (anche) perché in passato non si è risparmiato per niente. Come ricorda, infatti, Enrico Marro sul ‘Corriere della Sera’, c’è stato un periodo in Italia in cui le pensioni venivano date anche a chi aveva appena 14 anni di contributi: ci furono donne che andarono in pensione a 29 anni con uno stipendio pari al triplo della cifra versata con i contributi. Oggi una ragazza di quell’età a malapena ha un lavoro e la sua pensione, se mai la vedrà, sarà solo una misera parte dell’ultimo stipendio.

Ad oggilo Stato, e quindi noi tutti, paga ancora più di mezzo milione di pensioni baby, liquidate a lavoratori con meno di 50 anni d’età: 535.752 per la precisione, che costano circa 9,5 miliardi di euro l’anno. Ancora oggi l’Inpdap, l’ente di previdenza del pubblico impiego, paga 428.802 pensioni concesse sotto i 50 anni: di queste più di 239 mila vanno a donne e quasi 185 mila a uomini, per una spesa nel 2010 di 7,4 miliardi. A queste pensioni si sommano 106.905 pensioni liquidate a persone con meno di 50 anni nel sistema Inps (regimi speciali e prepensionamenti) per un costo di altri 2 miliardi.

E mentre lo Stato spende tanto per le baby pensioni, taglia quelle attuali. Nella manovra, che approda martedì 23 agosto in Senato, verrà molto probabilmente reinserita la riforma sull’innalzamento dell’età pensionabile. Aumenterà la quota per andare in pensione: ovvero la somma tra l’età del lavoratore e gli anni di contributo non dovrà più dare 96 ma 97. E questo slittamento non ci sarà più nel 2013, come inizialmente previsto, ma un anno in anticipo, nel 2012. Se oggi quindi è possibile andare in pensione a 60 anni con 36 anni di contributi o 61 anni e 35 di contributi, dal 2012 i lavoratori potranno andare in pensione con le quote 62+35 oppure 61+36.

In parte di questo, dunque, ringraziamo un sistema che ha fatto godere tanto prima e che stringe la cinghia oggi. Anche perché, e non è un dato secondario, oltre ad essere andati in pensione prestissimo, i baby pensionati ricevono in media una pensione lorda di circa 1.500 euro al mese: ovvero, nella maggior parte dei casi, il triplo di quanto hanno versato. E vanno a prendere la pensione, si stima e si spera vista la speranza di vita, mediamente per più di 30 anni.

Insomma un vero salasso, che ha origini lontane. Racconta Marro che nel 1973 (governo Rumor, con Dc, Psi, Psdi e Pri) si decise addirittura di concedere alle impiegate pubbliche con figli di andare in pensione dopo 14 anni, sei mesi e un giorno, mentre era già possibile per gli statali lasciare il servizio dopo 19 anni e mezzo e per i lavoratori degli enti locali dopo 25 anni. Nei primi anni’90, proprio sul ‘Corriere della Sera’, si raccontava la storia di due signore, Ermanna Cossio e Francesca Zarcone, che erano riuscite ad andare in pensione, rispettivamente, a 29 e a 32 anni, dopo aver lavorato come bidelle, con assegni quasi pari alla retribuzione.