Pensioni di reversibilità a rischio, allarme Corte dei Conti

di Sergio Carli
Pubblicato il 27 Febbraio 2016 - 13:06 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni di reversibilità a rischio, allarme Corte dei Conti

Pensioni di reversibilità a rischio: “Non sono un bancomat” dice lo striscione, ma Renzi non la pensa così

ROMA – Pensioni di reversibilità a rischio tagli: è la deduzione che si può trarre dalla lettura della relazione della Corte dei Conti sui bilanci 2013 e 2014 di Inps. Inps gestisce le pensioni degli italiani, con qualche minima eccezione per giornalisti e altre categorie professionali. Sono 21 milioni di cittadini quelli cui Inps invia ogni mese la pensione: ben uno su 5, come scrive la stesa Corte dei Conti, cioè 4,2 milioni di italiani che non hanno versato nulla e che si godono la pensione a spese degli altri.

Ora il Governo sempre più peronista vuol par pagare alle vedove, decurtando la pensione di reversibilità attraverso una vera e propria tassa sui morti, una sua iniziativa socialista, demagogica e elettorale, il Fondo anti povertà, di cui forse godrà qualche povero ma certo beneficeranno quei milioni di evasori totali, ricchi milionari, accattoni e lavoratori in nero che poi l’Istat strillerà essere “poveri” con l’aiuto della casa di risonanza dei giornali e internet.

Gian Maria De Francesco ha letto le 194 pagine del rapporto e lancia l’allarme pensioni di reversibilità sul Giornale:

“«Ogni analisi sulla sostenibilità finanziaria della spesa pensionistica va valutata anche alla luce della non ancora netta separazione tra previdenza e assistenza», si legge nelle conclusioni del rapporto. È una formula neutra con la quale si riassume il disavanzo strutturale dell’ente che riesce a garantire le prestazioni solo in virtù degli ingenti trasferimenti statali (100 miliardi nel 2013 e 98 miliardi l’anno successivo). Si tratta, però, delle stesse parole usate nel decreto attuativo che istituisce il Fondo anti povertà il cui finanziamento preluderebbe (nonostante le smentite di rito del ministro Padoan e del premier Renzi) a una revisione al ribasso, su base reddituale, delle pensioni di reversibilità”.

Le gestioni prese in esame dalla Corte dei Conti sono quelle degli anni 2013 e 2014, in cui Inps era guidato prima da Mastrapasqua e poi da Treu, ma, sostiene De Francesco,

“è l’Inps di oggi, quella guidata da Tito Boeri, a essere messa in questione per via della decontribuzione sui neoassunti. Se con gli sgravi contributivi triennali previsti dalla legge di Stabilità 2015 per le assunzioni a tempo indeterminato fatte non ci saranno «incrementi occupazionali effettivi», i mancati introiti richiederebbero «un ulteriore incremento di trasferimenti dal settore pubblico la cui provvista ricadrebbe sulla fiscalità generale».

“I rischi potrebbero essere superiori alle opportunità. Se prevalessero le trasformazioni di contratti da temporanei a stabili, la mancata crescita occupazionale si tradurrebbero in un buco certo e certificato dall’Adapt secondo cui già mancano 3 miliardi per coprire interamente il bonus. (…)  Difficilmente i 100 miliardi garantiti all’Inps dallo Stato potranno aumentare in maniera indolore. Tanto l’incremento delle aliquote contributive quanto l’imposizione di nuove tasse sarebbero impopolari. Ecco perché i 40 miliardi degli assegni di reversibilità potrebbero costituire l’appiglio giusto”.

Per chi non ha voglia o tempo di leggere l’intero rapporto della Corte dei Conti, può essere comunque interessante il comunicato stampa del 26 febbraio 2016 sulla “Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per gli esercizi 2013 e 2014”:

“La Sezione (quella dedicata al controllo degli Enti) ha valutato le risultanze del bilancio e delle singole gestioni dell’Inps, nonché l’assetto organizzativo dell’Istituto, definito nel biennio esaminato con l’incorporazione dell’Inpdap e dell’Enpals, assetto che non sempre è apparso il risultato di una effettiva razionalizzazione della complessa struttura dell’Istituto.
E’ proseguito, nel periodo di riferimento, l’aumento delle entrate contributive afferenti le gestioni istituite presso l’Ente: da 210 mld di euro nel 2013 (+ 2 mld rispetto al 2012), a 211,4 mld nel 2014.
La spesa per prestazioni, pur costante nel biennio (303,464 mld di euro nel 2013 e 303,401 mld nel 2014), è risultata tuttavia superiore al gettito contributivo.
Il numero delle prestazioni, pari a circa 21 milioni, (l’80% delle quali è costituito da pensioni previdenziali) non ha subito consistenti variazioni nel biennio.
E’ proseguito l’andamento negativo della gestione finanziaria che ha chiuso, nel 2013, con un disavanzo di 8,7 mld e, nel 2014, con un disavanzo di 7 mld, con una progressiva erosione dell’avanzo di amministrazione (che da 53,9 mld nel 2012, è passato a 43,9 ed a 35,7 mld  rispettivamente, nel 2013 e nel 2014).
Analogamente è a dirsi per il conto economico, che ha chiuso con valori di segno negativo, 12,8 mld di euro nel 2013 e 12,5 mld nel 2014.
Nè i trasferimenti dello Stato (99 mld di euro nel 2013 e 98,4 mld nel 2014), né la ripresa del flusso dei contributi, alimentato dalla gestione privata (e, in particolare, da quella del lavoro autonomo ed, ancor più, dalla gestione dei “parasubordinati”), sono valsi a far conseguire l’equilibrio delle gestioni amministrative.
L’incremento del patrimonio netto (nel 2014 pari a 18,4 mld di euro, rispetto ai 9 mld di euro nel 2013) è determinato da uno specifico apporto dello Stato, (di 21,9 mld di euro), a copertura del disavanzo dell’ex Inpdap.
Consistente è risultata la mole dei residui attivi (la cui totale riscuotibilità appare dubbia) e di quelli passivi.
Tenuto conto di tali risultanze, la Sezione ha, ancora una volta, rilevato come l’intervento statale risulti sempre fondamentale per il contenimento dello squilibrio della gestione.
Più incisiva è risultata l’azione di contrasto rivolta, in particolare, alla utilizzazione impropria e distorsiva delle forme contrattuali c.d. atipiche o flessibili, che ha consentito l’aumento dell’accertamento di irregolarità contributive e dell’accertato lordo.
Non hanno ancora trovato piena attuazione le disposizioni relative all’invalidità civile, nonché quelle rivolte al superamento di alcune difficoltà operative (quali quelle relative alle convenzioni con le regioni sul primo accertamento dei requisiti sanitari)”.