Se la deflazione è pericolosa quanto l’inflazione: perché Usa temono quella Ue

di Veronica Nicosia
Pubblicato il 1 Novembre 2013 - 18:01 OLTRE 6 MESI FA
Se la deflazione è pericolosa quanto l'inflazione: perché Usa temono quella Ue

Se la deflazione è pericolosa quanto l’inflazione: perché Usa temono quella Ue

ROMA – La deflazione, cioè il calo dei prezzi, è pericolosa quanto l‘inflazione e questo gli Stati Uniti lo sanno bene. Motivo per cui quando l’Europa ha annunciato il calo dell’inflazione dall’1,1% di settembre allo 0,7% di ottobre il Tesoro Usa ha prontamente e saldamente puntato il dito verso la Germania.

La “colpa” tedesca secondo gli americani, e che fu anche quella cinese, è “pensare troppo ai propri interessi”, mantenendo un export forte che non lascia spazio alla ripresa dei Paesi dell’Eurozona più deboli e a rischio, come l’Italia e la Spagna, scrive Brian Blackstone sul Wall Street Journal.

 

Se un‘inflazione troppo alta, come quella a due cifre registrata alla fine degli anni Settanta, distorce i mercati e genera instabilità economica e politica, la caduta dei prezzi dettata dalla deflazione può essere altrettanto destabilizzante. Il prezzo in calo infatti può spingere consumatori e investitori ad attendere cali ulteriori, bloccando di fatto l’economia. L’ideale, perché le banche centrali possano in extremis tagliare i tassi e stimolare l’economia, è che l’inflazione resti intorno al 2%, senza né crescere a dismisura, né sprofondare pericolosamente vicino allo zero.

 

Se nel nord Europa la deflazione è un rischio minore, con la Germania che segna un’inflazione dell’1,3%, mentre Austria e Olanda sono vicine al 2%, lo stesso non accade per Spagna, Italia e gli altri Paesi nel sud dell’Eurozona, che tagliano prezzi e salari nella speranza di diventare più competitivi a livello globale.

Daniel Gros, direttore del Centre for European Policy Studies di Bruxelles, spiega: “Il brusco calo dell’inflazione non è inaspettato, ma sicuramente assai poco gradito”, specialmente nel momento in cui “le economie europee fragili sono ancora lontane da quelle più forti”.

Per allontanare il fantasma della deflazione ogni banca centrale trova la sua strategia, spiega il Wall Street Journal: accade così che la Federal Reserve americana spenda 85 miliardi di dollari al mese in obbligazioni ipotecarie e bond statali a lungo termine, così da tenere bassi gli interessi degli investimenti a corto termine in futuro. Strategia analoga alla Banca del Giappone, che ha investito ingenti somme nei propri asset, allontanando la deflazione e arrivando all’obiettivo dell’inflazione al 2%.

David Lipton, il numero due del Fondo monetario internazionale, spiega che la mossa del Giappone ha avuto un impatto positivo: “Le azioni del Giappone sembrano aver avuto un impatto. L’economia è in crescita e si vedono alcuni segnali che portano verso la fine della deflazione, ma sono necessari altri passi per ottenere un risultato stabile e di successo”.

E se le banche mondiali si muovono per risollevare la sorte dell’inflazione al target del 2%, la Bce resta cauta, scrive infine il Wall Street Journal. Dopo aver investito oltre 272 miliardi di dollari in bond governativi tra il 2010 e il 2011 per tamponare la crisi, svuotò il sistema bancario per la stessa cifra, lasciando dunque la situazione in stallo.

Lorenzo Bini Smaghi, membro esecutivo del comitato della Banca centrale europea, spiega che la risposta della Bce al calo dell’inflazione potrebbe arrivare, se arriverà, il prossimo dicembre con un taglio dei tassi di interesse dallo 0,5% allo 0,25%. Ma glia acquisti di asset, mossa sulla scia di Tokyo, per ora è da escludere perché “potrebbe rivelarsi troppo controversa per la Bce”.

La Banca europea, al contrario di Giappone e Usa, non è pronta a mosse azzardate, spiega infine Charles Wyplosz, professore del Graduate Institute in Geneva, che spinge perché tutte le strade siano analizzate: “La Fed ha rischiato, ma ha cercato di mantenere l’inflazione stabile e lontana da valori troppo bassi, ma la Bce non sembra pronta a muoversi in quella direzione”. E dopo il rischio gli Stati Uniti, che ora puntano il dito contro la Germania, non sono certo disposti a perdere trainati al ribasso dagli effetti di quello che definiscono come l’egoismo e il mero “interesse proprio” di Berlino.