Statali e permessi: ci sono 52 modi per non lavorare, venendo pagati

di Ugo Verdini
Pubblicato il 11 Agosto 2016 - 12:18 OLTRE 6 MESI FA
Statali e permessi: ci sono 52 modi per non lavorare, venendo pagati

L’inchiesta de La Stampa

I lavoratori statali hanno a disposizione 52 modi legali per non lavorare venendo ugualmente pagati. Lo afferma Giuseppe Salvaggiulo su La Stampa, in un’inchiesta in cui sottolinea quanto incidano le assenze nell’impiego pubblico, dove nel 2014 (fonte Confindustria e Ragioneria generale dello Stato) ogni dipendente ha utilizzato in media 19 giorni di permesso retribuito, contro gli 11 del privato. “Secondo Confindustria – scrive Salvaggiulo – ridurre l’assenteismo del pubblico ai livelli del privato farebbe risparmiare 3,7 miliardi di euro l’anno”.

I netturbini romani mobilitati per le elezioni come in una sezione Pci negli Anni 50. I professori sardi devoti all’assistenza ai disabili. Gli autisti dei bus pubblici impegnati in massa in trattative sindacali. […] assenze giustificate per cause previste da leggi e contratti a tutela del lavoratore. E come gran parte delle cose giuste in Italia, a rischio di essere corrotta da abusi e privilegi, a danno non solo degli utenti, ma anche dei legittimi beneficiari, penalizzati dalle generalizzazioni.

Nella pubblica amministrazione si sono sedimentate 52 forme di assenza giustificata e retribuita. Dalla donazione del midollo osseo alla comparizione in tribunale come testimone, dal volontariato per soccorso alpino all’aspettativa per i cooperanti allo sviluppo, dall’assenza per fare lo scrutatore alle elezioni ai permessi per il ricongiungimento con il coniuge all’estero.

A catalogare le «causali di assenza» – tra moduli, formulari, documenti giustificativi sempre e comunque «per motivate esigenze e ai sensi e per gli effetti della normativa vigente» – è stato Alfonso Celotto, costituzionalista e cultore della pubblica amministrazione […]«Selva selvaggia – dice citando Dante -. Negli anni le tipologie si sono arricchite e diversificate creando diritti e aspettative difficili da rimuovere». Al punto che ciascuna amministrazione distribuisce circolari con istruzioni operative.

L’università di Pavia ha sfornato una «guida alle assenze dal servizio» lunga 32 pagine fitte e nemmeno esaustiva. «Nel manuale – recita la premessa – sono riassunti alcuni tra gli istituti giuridici di assenza…». Segue il rimando a sei contratti collettivi (siglati tra il 2000 e il 2009), tre leggi, un regolamento, tre decreti legislativi, due decreti del governo e altrettanti del presidente della Repubblica. Tutti vigenti. Contando quelli abrogati, questa pagina non sarebbe sufficiente.

È lungo l’elenco delle cause per cui un impiegato della pubblica amministrazione può chiedere permesso per assentarsi un giorno dal posto di lavoro:

Tutte le causali, lette in una prospettiva storica, sono conquiste della civiltà del lavoro. La maternità (introdotta per legge nel 1971) si declina in astensione obbligatoria e facoltativa, congedo parentale, permesso per visite pre-natali e per malattia del figlio entro i 3 anni o del bambino da 0 a 8 anni se con ricovero ospedaliero. Il permesso per lutto (tre giorni) si estende fino ai parenti entro il secondo grado e agli affini (suoceri, nuore e generi). Quello per esami e concorsi può allungarsi fino a otto giorni in un anno. Tre giorni per la grave infermità del parente. Fino a 150 ore retribuite per la frequenza di corsi scolastici o universitari. Diciotto per «motivi di famiglia» che includono visite specialistiche, divorzio e decesso di parenti lontani ma anche calamità naturali, adempimenti presso i vigili del fuoco e «altri gravi motivi che discrezionalmente potranno essere valutati». Addirittura tre anni per i dottorati di ricerca. C’è che ne inanella in serie e si fa vedere dopo una decina d’anni.

L’elenco dei modi leciti per ottenere un permesso diventa un elenco degli abusi:

Talvolta basta un’autocertificazione, talaltra serve l’attestazione di un altro ufficio pubblico. Persino la partecipazione ai Comitati per le Comunicazioni, organi delle Regioni, garantisce l’assenza pagata. I consiglieri comunali possono assentarsi non solo durante le sedute, ma anche nelle otto ore successive e per l’interno giorno dopo se la seduta si protrae oltre la mezzanotte (cosa frequente).

Chi lavora nei seggi elettorali ha diritto a due giorni compensativi di assenza retribuita. Se lo spoglio supera la mezzanotte, i giorni diventano tre per recuperare le energie. Per le regionali del 2015, a Napoli circa 750 dipendenti su 3.000 chiesero l’esonero all’azienda municipale dei trasporti. Due mesi fa l’Atac, azienda pubblica dei trasporti di Roma, s’è vista costretta a sospendere i permessi elettorali, dopo l’arrivo di 850 richieste – 30 scrutatori e 820 rappresentanti di lista su 12 mila dipendenti – in vista delle comunali. Risultato: un bus su tre senza autisti. Del resto l’Atac, già gravata da oltre un miliardi di debiti, vanta un tasso di assenteismo dell’11% e 131 mila ore l’anno di permessi sindacali retribuiti (11 mila più di quelli pattuiti), che costano 3,7 milioni di euro.

Anche in un’altra azienda pubblica romana, l’Ama (rifiuti), la passione politica dilaga. Alle ultime elezioni comunali erano mille dipendenti su 7800 (e 400 netturbini) a fruire del permesso. Due anni fa si erano raggiunti picchi di assenteismo del 19%. E il 3,4% dei dipendenti usa i permessi della legge 104: tre giorni al mese per assistere i parenti non autosufficienti. Un anno fa l’azienda ingaggiò un’agenzia di investigazione privata che scoprì due dipendenti in palestra nei giorni in cui invocavano i permessi per assistere parenti malati. Licenziati.

Mario Rusconi, vicepresidente associazione nazionale presidi, ha raccontato recentemente di una professoressa che chiedeva permessi ai sensi della legge 104 per tre diversi parenti: padre, madre e sorella. «Io dicevo che aveva la 312, ovvero la 104 per tre». In realtà si scoprì che nei 9 giorni mensili di assenza retribuita faceva un secondo lavoro. Ma in tribunale fu assolta «perché il fatto non costituisce reato». Il ministero ha deciso di accendere un faro dopo aver scoperto alcuni casi clamorosi come quello di una scuola di Menfi, in provincia di Agrigento: l’Istituto Santi Bivona aveva 70 insegnanti beneficiari dei permessi per parenti disabili su un totale di 170. Quasi il 42%. Se fossero davvero tutti malati, piuttosto che da ministero e Inps sarebbe stato un caso da sottoporre all’Organizzazione mondiale della sanità.