Allarme inglese: “Gli studenti cinesi sono spie industriali, lasciano cimici nei computer”

di Riccardo Galli
Pubblicato il 28 Marzo 2011 - 16:10 OLTRE 6 MESI FA

(AP Photo/Richard Drew)

LONDRA – Se non fosse vera sembrerebbe una spy story di terza categoria. La denuncia viene da fonte autorevole: Sir James Dyson, imprenditore celebre e stimato, quello che ha inventato l’aspirapolvere senza sacchetto, ed è confermata da Nicola Dandridge, amministratore delegato di Universities Uk: “Siamo a conoscenza del problema”. Ma qual è il problema? Il problema sono gli studenti cinesi che frequentano le università britanniche e da queste succhiano,anzi rubano il sapere. Apparentemente non si tratta di un rigurgito razzista, ma di una questione di spionaggio. “Vengono, si iscrivono nelle nostre università da urlo, poi tornano a casa loro e ci fanno una concorrenza serrata. Ma soprattutto piantano cimici nei computer e rubano materiale scientifico e tecnologico di primissima importanza. 007, insomma, più che studenti. So di casi spaventosi”, ha rivelato Dyson al Sunday Times. “Nei pc vengono impiantate delle cimici così che le informazioni continuino ad essere trasmesse all’estero anche quando il ricercatore ha lasciato il suo posto. Ho le prove”.

La denuncia di Dyson è grave, e lo è ancor di più nella misura in cui appare realistica. “Non è il comportamento che ci aspettiamo dagli studenti stranieri”, ha ribattuto David Willetts, sottosegretario all’Università. “Visionerò con grande attenzione le prove raccolte da James Dyson”. La questione è però delicata, come si intuisce meglio leggendo per intero le dichiarazioni dell’imprenditore inglese. “La Gran Bretagna – ha detto ancora – è molto orgogliosa di aver tanti studenti stranieri nelle proprie università. Eppure quello che in realtà stiamo facendo è istruire i nostri competitor. Non stupisce che governi e aziende siano disposti a pagare molto denaro per far studiare persone a Cambridge o all’Imperial College: conoscono bene il valore di quei centri di ricerca. I ragazzi tornano poi a casa e iniziano a farci concorrenza. E’ una follia. Lo dico da produttore e da sviluppatore di nuove tecnologie – ha concluso – E’ davvero frustrante vedere aziende straniere e governi stranieri sfruttare questi atenei”.

Se da un lato Dyson ha ragione a voler smascherare eventuali spie che infettano i computer per poter rubare informazioni e tecnologie britanniche a favore di altri paesi e in particolare della Cina, dall’altro il suo ragionamento sfocia in una visione conservatrice e protezionistica del mondo e della cultura. Perché se è vero che ogni paese, e in particolare i paesi europei, deve essere orgoglioso dei suoi progressi tecnologici che, oltre a migliorare la qualità della vita, arricchiscono il paese stesso in termini economici, non può però pensare di precludere l’accesso al sapere ai cittadini di altre nazioni. Viviamo in un mondo globalizzato, è giusto e comprensibile che chi inventa l’aspirapolvere senza sacchetto lo brevetti per far sì che nessuno oltre a lui possa produrlo, e se qualcuno attraverso lo spionaggio industriale gli ruba il progetto per riprodurlo illegalmente si tratta di furto e come tale va trattato. Ma è altrettanto giusto che studenti stranieri frequentino le prestigiose università britanniche, non se ne abbia Dyson, anche perché saranno proprio loro i futuri acquirenti delle aspirapolveri senza sacchetto.

L’immagine della moltitudine di piccoli cinesi che si insinuano nel mondo per carpirne i segreti da riportare in patria, simile alla moltitudine delle piccole formiche che divorano il mondo è diffusa ma non realistica. Infettare pc e rubare segreti è scorretto, ma farsi una cultura da spendere in patria è più che corretto. Così si sono create molte delle classi dirigenti che hanno guidati i paesi dopo anni di colonialismo e dittature e cosi, molto più prosaicamente, si creano anche i mercati in cui noi europei possiamo esportare i beni che produciamo. Sarà frustante per Dyson vedere aziende e governi stranieri sfruttare gli atenei inglesi, ma sarebbe ancora più frustrante per gli inglesissimi studenti di sua Maestà se una volta usciti da quegli atenei non trovassero un lavoro perché non esiste un mercato interessato alle loro capacità.