Taglio F35, militari contro: “Posti di lavoro in Italia”, “Demagogia inutile”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 22 Aprile 2014 - 10:54 OLTRE 6 MESI FA

Taglio F35, militari contro: "Posti di lavoro in Italia", "Demagogia inutile"ROMA – Repubblica svela in esclusiva il piano, ovviamente segreto, per tagliare di metà l’acquisto ultra miliardario degli aerei militaro F35,  ma non sembra crederci più di tanto e pubblica due articoli dove si fa il controcanto al demagogico quanto problematico taglio a un impegno preso quando capo del Governo era Romano Prodi. Prodi non viene nominato, certo fu tutta colpa del ministro della Difesa del tempo, Nino Andreatta, nel frattempo morto.

Vincenzo Nigro ha intervistato il generale Vincenzo Camporini, ex capo dell’Aeronautica e poi della Difesa, oggi è il vice-presidente dell’Istituto affari internazionali, che non usa mezzi termini:

“Ci sono grandi risparmi da fare in tutta la Difesa, ma parlare soltanto di numeri, di riduzioni degli aerei F-35, in questa fase è inutile e rischia di essere perfino controproducente. Siccome credo che l’Italia voglia continuare ad avere delle forze armate, bisogna informare e ragionare correttamente su tutto, anche sugli F-35”.

La tesi del generale Vincenzo Camporini è che si possono fare

“tagli veri ed efficaci nella Difesa, un processo di razionalizzazione che ci porti a risparmiare. Ma per l’F35 dico una cosa: gli impegni economici che si prendono sono relativi ai singoli lotti anno per anno, e quindi non c’è bisogno di annunciare oggi quanti se ne compreranno alla fine. Se però oggi annunciamo un nuovo taglio drastico del numero totale, come è già stato fatto dal precedente governo Monti, ci spareremo nei piedi: avremo solamente una riduzione immediata del lavoro per le nostre industrie. Dobbiamo sapere cosa maneggiamo. Questo è innanzitutto un programma industriale in cui una volta tanto l’Italia si è mossa partendo 15 anni fa con visione. Noi non compriamo solo un aereo, ma contribuiamo a costruire un velivolo utile per le nostre Marina e Aeronautica. Con Alenia e con 50 industrie medie e piccole questo è un aereo anche italiano. Detto questo, nel modo in cui la Difesa ha impostato il programma ci sono molte economie possibili”.

Sarà comunque dura, se, come ricorda lo stesso Vincenzo Camporini non è neppure possibile “unificare le 4 scuole di lingue che le forze armate tengono in piedi, inclusi i carabinieri!”.

Giampaolo Cadalanu ricorda e precisa:

“Era il 1996 quando l’allora ministro della Difesa Beniamino Andreatta decise di aderire all’invito dell’amministrazione Clinton, per partecipare al programma Joint Advanced Strike Technology. Washington voleva un caccia multiruolo altamente computerizzato, capace di penetrare nelle difese nemiche senza farsi vedere dai radar. Nel confronto fra le proposte di Lockheed-Martin (allora marcata X-35) e Boeing (denominata X-32), il Pentagono scelse la prima. Secondo alcuni analisti, i prototipi di Lockheed erano appena meno peggio dei concorrenti. La prima firma “concreta”, con stanziamenti robusti, arrivò nel 2002, con la sigla del primo contratto da parte dell’allora segretario della Difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola”.

Da allora Di Paola fece carriera, arrivando alla poltrona di ministro della Difesa nel Governo Monti e seguirà, ricorda Gaimpaolo Cadalanu, “tutte le fasi dell’acquisto degli F-35, indispensabili per la portaerei Cavour, da lui fortemente voluta e varata nel 2009”.

“Prospettiva dichiarata era quella di creare 10 mila posti di lavoro: per ora, di certo c’è solo un graduale spostamento dei lavoratori Alenia-Finmeccanica (a regime dovrebbero essere circa 2500 persone, mentre sulle linee dell’Eurofighter ne sono stati impiegati fino a 6000) dalle linee produttive del caccia europeo a quelle dell’F-35, più alcune centinaia di operai nelle imprese collegate. La stessa Lockheed si è vista ridimensionare dal Pentagono le previsioni di impiego: i 125 mila che doveva far lavorare in Usa saranno meno della metà. Nel caso italiano, il coinvolgimento nell’attività produttiva prevedeva la costruzione di un impianto nella base di Cameri: era la prima grossa spesa pari a 800 milioni di euro.

“Dall’avvio, il progetto si è sviluppato fra mille difficoltà tecniche, segnalate soprattutto dai tecnici del Pentagono che hanno imposto aggiustamenti tecnici e ritocchi nei costi. Molti paesi partner hanno sforbiciato i loro programmi d’acquisto: in Italia, dagli iniziali 131 si è scesi a 90. Il caccia, che la Lockheed definisce “più economico del precursore F-16”, inizialmente sarebbe dovuto costare – a regime produttivo circa 60 milioni di dollari a esemplare, prezzo “fly away”, cioè macchina nuda e cruda, senza armamenti e senza attrezzature per l’assistenza e ricambi.

“In realtà, si può considerare indicativa la cifra pagata dal Pentagono per il primo lotto di caccia: ogni aereo è costato poco più di 192 milioni di dollari, a oggi poco meno di 120 milioni di euro, senza le ultime versioni di armamento. E la cifra non è adeguata per la versione B del caccia, la Stovl a decollo corto e atterraggio verticale, che Di Paola voleva per sostituire gli Harrier della Marina, considerati obsoleti. Ma anche queste cifre, dice lo stesso Pentagono, sono ormai superate: per gli ultimi acquisti c’è già un nuovo aumento. Il costo finale per i contribuenti Usa supererà i 390 miliardi di dollari”.