Il 55% del reddito se ne va in tasse. Ma il Pil crolla e il debito non scende

Pubblicato il 21 Settembre 2012 - 09:54 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Considerando l’enorme fetta di evasione domestica, l’Italia è a un livello di pressione fiscale del 55%. Cioè, chi paga le tasse, in media destina più della metà del suo reddito allo Stato. Lo ha ripetuto ieri in Parlamento il presidente di Confindustria Squinzi. E’ stato ascoltato dalla Commissione Finanze della Camera: audizione che serve a capire bene che indirizzo dovrà avere la delega fiscale. Ma alla Commissione Finanze lo sproposito di un record del mondo nella tassazione dovrebbe esser noto. Di questo famoso 55% ne hanno parlato la Confindustria alla fine dell’anno scorso, la Cgia di Mestre e, se serve u supplemento di autorevolezza, ne ha parlato il capo dell’area ricerca economica della Banca d’Italia Daniele Franco nell’audizione alla Commissione Bilancio riunite di Camera e Senato. Audizione avvenuta a fine ottobre dell’anno scorso, giusto un momento prima che la situazione politica precipitasse e cambiasse il Governo.

Tuttavia, se c’è stata discontinuità nella gestione della cosa pubblica, sul versante fiscale tutto è rimasto come prima, al massimo si è continuato a spremere con più lena. Bisognava affrontare la gravissima crisi del debito, recuperare prestigio presso le istituzioni europee, accettare manovre lacrime e sangue ecc. Nel frattempo, ricostituito il prestigio internazionale, ripristinato il galateo economico, rispettati i vincoli del fiscal compact, le stime per la crescita sono state pesantemente riviste al ribasso (-2,4% contro il -1,2% di aprile) e il peso del debito nei confronti del Pil è cresciuto ancora, al 126,4%. Sostiene Monti che sono uno “stolto” non si accorge che le misure adottate sono un colpo per la crescita. Squinzi, che non parla volentieri di Fiat (è uscita dall’associazione) deve ammettere che una crisi dei consumi così non si era mai vista e la debacle dell’auto è solo quella più visibile.

Sostenere la domanda interna, questo è il primo obiettivo: constatare che siamo tornati a livelli di consumi di 40 anni fa dovrebbe significare pur qualcosa. Diminuire il cuneo fiscale va di pari passo con un recupero della produttività. Le parti stanno discutendo, il dialogo sindacati imprese è più avanzato di quanto il dibattito pubblico mostri. Dalla parte delle imprese si chiede di riportare il livello di retribuzione a cui applicare lo sgravio fiscale a 40 mila euro. Qualcosa si può fare anche nel comparto previdenziale/assistenziale senza guerre di religione. Il dg della Confcommercio Rivolta nota come nel terziario si paghi all’Inps un miliardo di contributi in più sulla malattia rispetto all’utilizzo che se ne fa. Idem per l’Inail dove per gli infortuni si pagano 800 milioni in più di quanto effettivamente utilizzato. Dalla parte dei lavoratori si vogliono buste paga più pesanti: l’abbassamento di un punto del cuneo fiscale, come chiedono le imprese, andrebbe già in questa direzione. E si potrebbe ricominciare a consumare…