Bullismo, video del disabile sfottuto. La sentenza contro Google: “Sul web non può essere tutto permesso”

Pubblicato il 14 Aprile 2010 - 14:10 OLTRE 6 MESI FA

Su Internet non può essere tutto permesso: è questa la motivazione che il giudice di Milano, Oscar Magi, dà alla sentenza sul caso Google in Italia. Il caso è relativo al video dell’episodio di bullismo che vide come vittima uno studente disabile: il ragazzo down era stato ripreso a scuola mentre i compagni lo insultavano e il video, postato su Google video, aveva fatto il giro della Rete.

Non può esistere “la ‘sconfinata” prateria di internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato”, ha scritto il giudice nelle motivazioni della sentenza di condanna di tre dirigenti di Google, per violazione della privacy, in relazione ad un filmato che riprendeva un minore disabile insultato in una classe. Filmato che venne caricato sul famoso motore di ricerca.

Il giudice, nelle 111 pagine di motivazioni, spiega che “esistono, invece, leggi che codificano comportamenti e che creano degli obblighi; obblighi che, ove non rispettati, conducono al riconoscimento di una penale responsabilità”. Dunque, per il giudice monocratico della quarta sezione penale, “non esiste” la “sconfinata prateria di internet (…) pena la scomunica mondiale del popolo del web”.

Il 24 febbraio scorso tre dirigenti di Google vennero condannati a sei mesi, con la sospensione condizionale della pena, per violazione della privacy, mentre vennero assolti dal reato contestato di diffamazione. Un quarto dirigente, accusato solo di diffamazione, venne assolto. Al centro del processo, c’era un video che mostrava un ragazzino disabile insultato e picchiato da alcuni compagni di scuola di un istituto tecnico di Torino.

Il filmato venne realizzato dagli studenti nel maggio 2006 e da loro caricato su Google Video l’8 settembre, dove rimase cliccatissimo per circa due mesi. L’inchiesta a carico dei dirigenti di Google è stata coordinata dai pm di Milano Alfredo Robledo e Francesco Cajani. La condanna dei tre dirigenti era stata criticata duramente dall’ambasciata Usa a Roma, la quale aveva sostenuto che “il principio fondamentale della libertà di internet è vitale per le democrazie”.