Caffè droga moderna: i suoi effetti rendono “dipendente”

Pubblicato il 3 Giugno 2010 - 14:00 OLTRE 6 MESI FA

C’è quello americano, molto blando, o quello dello studente, fortissimo. Il caffè è sicuramente la bevanda più amata dagli italiani, e non solo, per tenersi vispi. Ma attenzione. La sensazione di “sveglia” che provoca ogni tazzina in realtà potrebbe essere solo un’illusione: chi ne beve tanto finisce per diventare resistente a molti degli effetti della caffeina. Parola di scienziato.

A dimostrarlo è una ricerca condotta da Peter Rogers, uno psicologo dell’università di Bristol in Inghilterra, e apparsa su ‘Neuropsychopharmacology’. Lo studioso ha coinvolto 162 bevitori di caffè moderati (una tazzina o meno al giorno) e 217 estimatori del caffè (oltre una tazzina al giorno), chiedendo loro di astenersi dal caffè per 16 ore per poi bere 100 milligrammi di caffeina (ovvero una tazza di caffè americano, poco più di una tazzina di espresso) e, dopo un’ora e mezza, altri 150 milligrammi di caffeina.

Ad alcuni dei soggetti, agli stessi orari, invece del tradizionale caffè veniva somministrato un caffè-placebo, ovvero senza caffeina. Prima e dopo l’assunzione della bevanda, vera o finta che fosse, i ricercatori monitoravano il grado di ansia, di allerta e il mal di testa dei partecipanti. Il risultato? Nei bevitori assidui non è stato registrato nessun livello di allerta.

«Con il consumo frequente di caffè – ha spiegato Rogers – si sviluppa innanzitutto una tolleranza agli effetti ansiogeni della bevanda, che quindi non provoca più agitazione. Qualcosa di simile avviene anche per l’attenzione e la lucidità mentale: in chi beve caffè spesso l’effetto di “sveglia” si perde. Anzi, succede che quando si è in astinenza da caffè, fra una tazzina e l’altra, il livello di attenzione scende al di sotto della soglia «normale» per quell’individuo: bere la tazzina non fa “svegliare”, semplicemente riporta l’amante del caffè nella situazione-base» ha illustrato il professore.

L’incremento dell’ansia e l’aumento della pressione arteriosa, come anche altri effetti della caffeina, sono mediati su alcuni recettori cerebrali, i cosiddetti recettori adenosinici. I ricercatori però hanno scoperto che nel determinare le risposte del corpo all’assunzione di caffeina sono responsabili anche dei geni. In particolare, chi ha il “gene dell’ansia” è più predisposto a bere caffè, come se avesse bisogno di quella piccola dose di inquietudine contenuta nella tazzina.

Ma quand’è che ci si può dire assuefatti dal caffè? «La caffeina induce tolleranza ai suoi effetti molto prima di quanto si credeva in passato: bastano un paio di tazzine al giorno, ad esempio, per non risentire più dell’effetto ansiogeno del caffè – ha spiegato Rogers -. Il problema vero però è l’astinenza: in chi beve abbastanza caffè basta meno di un giorno lontano dalla tazzina per ritrovarsi con il mal di testa e una riduzione della lucidità mentale». In poche parole, non prendere caffè ci lascia con il cervello “addormentato” e magari con un fastidioso mal di testa. Mai quindi esagerare: per non diventare espresso-dipendenti, mai superare le tre (quattro) tazzine al giorno.