Marella Agnelli racconta sua infanzia. La Signora Gocà, lessico familiare dei Caracciolo

di Daniela Lauria
Pubblicato il 29 Luglio 2015 - 09:36| Aggiornato il 31 Luglio 2015 OLTRE 6 MESI FA
La Signora Gocà, lessico familiare dei Caracciolo. Marella Agnelli racconta la sua infanzia

Marella Agnelli

ROMA – E ora la Signora che fa? Domandava il piccolo Carlo alla mamma, dopo che la sua sorellina Marella lo aveva addobbato a festa, con tanto di tacchi alti e gioielli, per giocare a “fare i grandi”. “She will go to the car“, rispondeva lei, bellissima e distratta. Che nella lingua dei piccoli si accorciò in “gocà”. Quel figurino esile, vestito di tutto punto con gli abiti troppo grandi della mamma, partiva così all’avventura, scorrazzando per la grande villa dei Cancelli a Firenze, con al seguito la sua piccola cameriera Jolanda (Marella). Sarà quest’ultima, una vita intera dopo, a ricordare quel tenero gioco d’infanzia in un libro di memorie intitolato appunto “La Signora Gocà” (Adelphi 2015, pp. 236).

Lei è Marella Caracciolo di Castagneto, da grande divenuta insuperata icona di stile ed eleganza col nome di Signora Agnelli, moglie dell’Avvocato e nonna di una dinastia di ben 8 nipoti, tra i quali Lapo e John Elkann, componenti dell’attuale board Fiat. Suo fratello maggiore Carlo sarà il futuro editore del gruppo L’Espresso.

Designer di successo, modella amatissima a vent’anni dal fotografo Richard Avedon che le diede il soprannome di “swan”, riferendosi al suo collo sottile e allungato alla Modigliani. E poi a sua volta fotografa e cigno prediletto di Truman Capote, Marella Agnelli si è sempre contraddistinta per l’incomparabile grazia e la sua eleganza estrema, quasi eterea.

A quasi 90 anni “il profilo migliore degli Agnelli”, come qualcuno ebbe affettuosamente a dire di lei, ha dato alle stampe un prezioso lessico familiare, schegge di infanzia e adolescenza depositate negli anni su carta senza cedere agli aggiustamenti di “quella somma falsaria che è la memoria”. Se ne fa garante Roberto Calasso in quarta di copertina.

Anche se il libro è firmato Marella Agnelli, la storia si sofferma solo sul ramo Caracciolo, cioè sulla sua famiglia di origine. I protagonisti sono la madre, la bellissima Margaret Clarke, proveniente da una famiglia di ricchi proprietari terrieri dell’Illinois; il padre Filippo Caracciolo di Castagneto, appartenente all’antica aristocrazia napoletana; i fratelli, l’editore Carlo Caracciolo e il più piccolo Nicola, giornalista e studioso di storia contemporanea. E poi c’è tutto uno stuolo di famigli: governanti, domestici, giardinieri, precettori. Ma anche nonne, zie, zii e le prime amiche dell’infanzia.

Cinque capitoli compongono il libro, cinque luoghi dell’infanzia che Marella ripercorre con la stessa vitalità e incanto di quand’era bambina. La prosa è frastagliata, come un flusso di coscienza che scorre in piena, velocissimo, carico di ricordi. La bellezza e la pace dorata dei primi anni ai Cancelli, la villa cinquecentesca sulle colline fiorentine acquistata dalla nonna materna Alice Clarke. Le estati in montagna a Bressanone: il ritiro nel fresco castelletto di Ratzotz, “quando l’afa cominciava a pesare su Firenze”. E poi l’Orient Express e il branco di lupi che lo affiancano nelle distese dei Balcani, il “lusso asiatico” di Istanbul. La polvere rossa e gli yali, le villette a cubo di Ankara. La casa “felice” del Roncaccio in Svizzera. E infine Roma liberata, in un’esplosione di vita tra i balli dell’alta società.

In ognuno di quei luoghi l’autrice si sofferma, ne assapora colori, odori, proporzioni e arredi. L’effetto è quasi straniante: difficile che gli occhi bambini di Marella abbiano potuto registrare una tale ricchezza di particolari. E’ lo sguardo esperto e sofisticato della designer/fotografa che si posa sui salotti in stile rinascimentale rivisitato, i mobili lucchesi e veneziani, i giardini, l’architettura mistica in Turchia e quella fiabesca del Trentino coi tetti spioventi e i gerani alle finestre.

La stessa signora Gocà, “il più bel gioco del mondo”, altro non era che un espediente che i piccoli Carlo e Marella mettevano in scena per sgattaiolare dietro porte altrimenti chiuse o riservate ai grandi. E’ in uno di quei “viaggi esplorativi” ai Cancelli che scoprono i grandi armadi di legno pieni zeppi di fotografie ingiallite coi timbri di Chicago e New Orleans. Dalla seppia evanescente del passato emergono “visi attoniti, inespressivi, forse duri e vestiti semplici che contrastavano con i sorrisi appena accennati, i pizzi, le perle, le parures, le calèches delle donne napoletane” (le zie paterne, ndr). In un bauletto ricoperto di pelle di zigrino, la pelle che ricatta la felicità, Marella scova le lettere d’amore che si erano scambiati in gioventù mamma Margaret e papà Filippo. L’emozione è tanta che all’inizio decide di tenerlo tutto per sé e di non condividere la scoperta coi suoi fratelli.

Così piccola già scopre l’amore appassionato e tormentato che li lega. Filippo che ha abbandonato Napoli e la famiglia nobile e impoverita, ha da poco fatto il militare nel Genova Cavalleria quando si invaghisce della bellissima Margaret, con gli occhi di turchese assoluto. Più tardi i rampolli Caracciolo saranno testimoni più o meno inconsapevoli dei tradimenti di lui. “Però non si lasciarono mai”, è la sintesi innocente di Marella bambina.

A dispetto delle nobili origini, i coniugi Caracciolo non se la passavano poi tanto bene a cavallo tra le due guerre. La crisi economica del ’29, racconta Marella, fece sì che “quel denaro che veniva dalle pianure dell’Illinois, ammassato dalle rudi e forti mani dei fratelli Clarke, sembrasse dissolversi nelle loro”. Di qui la decisione di papà Filippo di tentare il concorso diplomatico al ministero degli Esteri. Prima c’era stata una breve avventura giornalistica terminata in un disastro. Forse però, annota Marella, “Carlo come una piccolissima vongola, assorbì un po’ di quei sogni nell’aria del momento, per poi, anni dopo, farli suoi”.

Dopo un breve periodo a Roma, in servizio presso la segreteria particolare di Galeazzo Ciano, Filippo viene spedito all’ambasciata d’Italia ad Ankara. E’ qui che Carlo e Marella affinano la tecnica per “il loro passatempo preferito: l’ascolto furtivo“. “Proprio per poter origliare, sbirciare, erano state attentamente progettate le case ottomane, dunque anche il nostro yali”. Nicola è ancora troppo piccolo ma i due fratelli maggiori cominciano a carpire, dai discorsi origliati dei grandi, che il mondo sta cambiando. Parlavano del Patto d’Acciaio italo tedesco, delle truppe ammassate al confine polacco, delle navi da guerra, Un gelo mi era entrato nel cuore, un timore indefinito di situazioni avverse”.

Allo scoppio della guerra Filippo Caracciolo è di stanza al consolato generale a Lugano. E’ forse questo il capitolo più affascinante dei cinque, piccola miniera semi-incosciente di storia partigiana. Il Roncaccio, la villa in cui si stabilirono in Svizzera, diventa il rifugio clandestino di molti italiani esuli dopo l’8 settembre. Marella è cronista gentile e a tratti ironica di quegli eventi. Come quando al Roncaccio arriva un’improbabile professore di ginnastica che “si muoveva con elasticità e precisione che definimmo elefantina, impacciato anche dagli spessi occhiali”. Era Ugo La Malfa sotto mentite spoglie, il primo di una lunga serie di ospiti clandestini: Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Adolfo Tino, Raimondo Craveri e molti altri.

Marella, ormai adolescente, contribuisce alla Storia, pur se inconsapevolmente, consegnando messaggi criptati in paese. Quando Carlo, ormai diciottenne, decide di partire per la Val d’Ossola la commozione è forte. E’ come se all’improvviso avesse smesso i panni della Signora Gocà per indossare quelli sdruciti da partigiano. “La protezione della quieta Svizzera gli divenne di peso, o peggio, fonte di imbarazzo”. Mamma Margaret si sciolse in un pianto irrefrenabile ma non volle fermarlo.

E poi finalmente Roma: la guerra è finita e “come se si fosse stappata un’immensa bottiglia di spumante, era scoppiata la pace”. Marella ha 18 anni e impara lo swing nelle sale da ballo della nobiltà capitolina, dei Colonna e dei del Drago.

La festa però dura poco, quando Carlo la raggiunge le presenta il conto di quell’opaca adolescenza. “Quel mondo, che mi piaceva tanto, attraverso gli occhi critici di mio fratello cominciò a perdere il suo smalto”. Marella scopre il dolore del distacco da quel fratello, con cui aveva fatto squadra fino all’estate precedente. Era cresciuto più in fretta di lei sui monti in Val d’Ossola e “aveva acquisito un’esigenza morale, una tensione ideale che a me faceva difetto”.

Marella però non vuole rinunciare subito a quel mondo dorato. Continua a indossare gli abiti firmati di Gabriella Sport che Madame Anna le presta per poi riportarglieli l’indomani mattina. “Quando sono belle – diceva l’anziana alleata – bisogna essere generose con queste Cenerentole. Poi magari sposano un uomo ricco e diventano clienti”. E ci aveva visto lungo: di lì a poco ci sarà l’incontro fatale con Gianni Agnelli. Ma questa è tutta un’altra storia…