Cardinale Richelieu: il realismo politico nel suo “testamento”

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 12 Agosto 2016 - 06:20 OLTRE 6 MESI FA
Cardinale Richelieu: il realismo politico nel suo "testamento"

Cardinale Richelieu: il realismo politico nel suo “testamento” (Aragno editore)

Armand-Jean du Plessis, cardinale di Richelieu, non era quel mostro che una certa letteratura ottocentesca ha voluto accreditare, ma un grande statista, dotato di forte tempra politica, fedele alla monarchia, ed a una certa idea dell’autorità.

Salvò la Francia dall’irrilevanza e contribuì in maniera decisiva a ristabilire quell’equilibrio di cui l’Europa aveva un disperato bisogno nella prima metà del XVII secolo, squassata, tra l’altro, dalla guerra dei Trent’anni il cui esito fu quello di bloccare l’irresistibile ascesa degli Asburgo che minacciavano i domini dei Borbone.

Questo, soprattutto, fu il capolavoro del cardinale inviso, due secoli dopo, a Victor Hugo e ad Alexandre Dumas che ne tratteggiò la figura contrapponendolo ai celebri “quattro moschettieri” efficace invenzione romanzesca finalizzata alla demolizione dell’uomo che va annoverato tra i restauratori dello Stato nel momento della sua maggiore debolezza.

Richelieu nacque a Parigi il 9 settembre 1585, da una famiglia della piccola nobiltà francese. Da ragazzo venne avviato alla carriera militare, ma per i ricorrenti disegni familiari in voga a quel tempo, all’età di 22 anni venne ordinato Vescovo di Luçon, carica appannaggio del suo casato. Nel 1614 prese parte agli Stati Generali, che era l’assemblea consultiva convocata dal Re di Francia e debuttò nella politica nazionale. Due anni dopo venne chiamato a ricoprire la carica di Segretario di Stato da Maria de Medici, regina reggente che governava la Francia in attesa dell’ascesa al trono del giovane figlio Luigi XIII.

Un intrigo di palazzo accelerò tuttavia l’assunzione del potere del giovanissimo sovrano con la conseguente caduta in disgrazia di sua madre Maria. Richelieu venne di conseguenza allontanato da corte insieme alla reggente e si ritirò ad Avignone profondendo il suo impegno nello studio della teologia e continuando comunque a pensare alla politica che non tardò a scoprire come sua “vocazione”. Richiamato a Parigi, due anni dopo da Luigi XIII, Richelieu si adoperò con successo nel ricomporre la frattura tra il re e sua madre guadagnandosi la fiducia del monarca. Il 5 settembre 1622 venne creato cardinale da Papa Gregorio XV e nello stesso tempo diventò uomo di fiducia del re che di fatto ne fece il suo primo ministro.

Richelieu avviò una vigorosa azione di ridimensionamento dei privilegi dell’aristocrazia, tesa a rafforzare sia la figura del re che il proprio potere. Ingaggiò una dura battaglia con gli Ugonotti, protestanti francesi dotati di un proprio esercito ed avversari implacabili della monarchia che sconfisse dopo il lungo assedio di La Rochelle, guidando lui stesso le armate di Luigi XIII.

In politica estera il suo obiettivo principale fu quello di arginare lo strapotere degli Asburgo che governavano in Spagna e nell’Europa Centrale. Dopo alcuni scontri per il controllo dei transiti soprattutto del Nord Italia, Richelieu ingaggiò con la potente casata un lungo conflitto nell’ambito di quella che venne definita Guerra dei Trent’anni: cattolici e protestanti in tutta Europa si fronteggiarono senza esclusione di colpi. Nonostante Richelieu fosse un principe della Chiesa, per ragioni strategiche e geo-politiche, avendo di vista essenzialmente gli interessi del suo Paese, nel 1635 schierò la Francia al fianco dei paesi protestanti.

Dopo un’iniziale serie di sconfitte, ebbe la meglio e fu determinante nella vittoria sugli Asburgo. Un trionfo al quale il cardinale, malauguratamente, non assistette. La morte, infatti, lo colse all’età di 57 anni, diciotto dei quali ininterrotti al governo. Lasciò una Francia prospera e sicura, rispettata dai nemici storici e dagli alleati, capace di imporre l’egemonia dei Borbone in Europa. Fu la sua indiscutibile eredità che poté assicurare alla dinastia ed al popolo grazie ad uno Stato forte che aveva meticolosamente organizzato e difeso da chi voleva minarne la solidità dall’interno (alcuni aristocratici nemici del sovrano ed i protestanti) e dall’esterno: la monarchia asburgica.

Il suo “Testamento politico”, completato dalle “Massime di Stato”, è la prova più eloquente di una concezione del potere che ne testimonia anche la straordinaria “attualità”. È stato infatti ripubblicato nel bel mezzo della crisi politica europea segnata dal declino degli Stati nazionali dall’editore Aragno con l’eccellente introduzione di Alessandro Piazzi che già nel 1988 riportò il testo di Richelieu all’attenzione traendolo da un lungo oblio.

E oggi, come al tempo di Luigi XIII, i suggerimenti del cardinale al suo re risultano assolutamente spiazzanti per coloro che hanno immaginato un ordine civile fondato sull’abdicazione della sovranità statuale. Le radicali soluzioni che Richelieu immaginava e perseguiva al fine di ricomporre l’unità dello Stato, prevedevano un accumulo di poteri nella sfera “sovrana” che erano andati disperdendosi in maniera anarchica, si potrebbe dire, minando l’unità della nazione e la potestà del monarca, fino a generare conflitti insanabili tra ordini, categorie, ceti, corpi intermedi.

Infatti scriveva: “Dopo aver esaminato e riconosciuto le qualità necessarie a coloro che debbono essere impiegati come ministri dello Stato, non posso fare a meno di sottolineare che, come la pluralità dei medici causa talvolta la morte del malato invece di favorirne la guarigione, così lo Stato ricaverà piuttosto danni che vantaggi se il numero dei Consiglieri è alto. Aggiungo che non può con buon frutto averne più di quattro, e inoltre bisogna che tra loro ve ne sia uno che abbia l’autorità principale e che questi sia come il primo mobile che muove tutti gli altri luoghi senza essere mosso che dalla sua intelligenza”.

Richelieu, oltretutto, riteneva che una nuova organicità statuale dovesse comprendere ed armonizzare tutte le membra sociali nell’ambito di quella “autonomia del politico” che Carl Schmitt, secoli dopo, avrebbe magistralmente codificato.
Indirizzandosi a Luigi XIII, Richelieu ricordava che al momento di assumere la “conduzione degli affari” di Stato la Francia era dilaniata da scontri cruenti. Lui gliela riconsegnava come grande potenza dotata di uno Stato solido e riconosciuto.

Un secolo e mezzo dopo la sua morte, avvenuta il 4 dicembre 1642, i negatori dello Stato si vendicarono alla loro maniera. Per ordine dei rivoluzionari della Convenzione, il 5 dicembre 1793 la tomba di Richelieu, nella Cappella della Sorbona, venne profanata e le sue ossa disperse. Il “secolo dei filosofi” dimostrò così la sua cieca crudeltà accanendosi contro il “rosso tiranno” che aveva restituito autorità e prestigio alla Francia.

ARMAND-JEAN DU PLESSIS, CARDINAL DE RICHELIEU, Testamento politico. Massime di Stato – Aragno Editore, pp. 378, 22,00 euro.