Elido Fazi racconta: da un paesino delle Marche a editore di successo. Ma le radici…

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 11 Luglio 2016 - 07:24 OLTRE 6 MESI FA

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Elido Fazi racconta: da un paesino delle Marche a editore di successo. Ma le radici...

Elido Fazi (nella foto la copertina del libro autobiografico) racconta: da un paesino delle Marche a editore di successo. Ma le radici…

erchiamo quasi sempre la bellezza nella straordinarietà delle cose, degli eventi, delle rappresentazioni della natura che ci vengono proposte. Difficilmente ci accorgiamo che essa, la bellezza, è nella semplicità dell’esistenza anche quando vivere è tutt’altro che semplice. Affacciarsi, per esempio, sulla terrazza della vita, alla soglia dei quarant’anni, come fa il personaggio di Elido Fazi (che poi è lui stesso), per trarne non un bilancio, ma per raccontarsi il proprio passato è di per sé una sorta di incantamento. Il protagonista del racconto-memoria di Fazi scorge, infatti, nelle esperienze che lo hanno segnato e lo hanno portato fin dove è arrivato un filo di poesia che lega i molteplici fili della sua esistenza.

E’ poesia la storia della sua famiglia, umile e fiera, raccolta in un paesino delle Marche da dove il personaggio che incarna l’autore muove per conquistare un mondo che non gli basta al punto di tornare – e non soltanto con il pensiero – sempre e comunque là dove la sua storia è cominciata. E’ poesia il tormentato amore che ha inseguito tra disperanti abbandoni ed incandescenti ritrovamenti. E’ poesia la sfida con se stesso per acquisire, al di là delle prospettive di una carriera segnata dal successo fin dalla più giovane età, una sua autonomia nella quale la letteratura diventa vita, assorbe ogni cosa, racchiude passato e presente senza mai indulgere alla tentazione di addomesticare un immaginabile futuro.

Ecco, c’è quasi una sorta di amor fati nel destino dell’uomo che innervando la sua storia in una poetica vitale e a suo modo unica, accetta ciò che gli accade e l’inevitabilità si consuma nel perseguire sempre e comunque un sogno di quiete che si concretizzi all’ombra dei mondi Sibillini o nella City londinese o nell’abbagliante luce del Madagascar o nelle più domestiche viuzze del centro di Roma: ha poca importanza il “dove”, ciò che conte è il risultato ostinatamente perseguito.

La quiete, spirituale com’è ovvio che sia, è l’approdo cercato dal viandante quando appena comincia il primo tornante della strada che si fa irta e i peli della barba ed i capelli cominciano ad ingrigire. La quiete è l’antichità della storia che il personaggio del racconto di Fazi si porta dietro ed alla quale non intende abdicare. Non senza rinunce, naturalmente, poiché la Bellezza richiede sacrifici per essere vissuta, posseduta, goduta. Ed il quarantenne che dalla sua vecchia casa, dove sosta per l’ennesima volta, ritornandoci ad ogni occasione importante come per ritrovarsi in qualche modo, osserva ciò che ha dietro le spalle con comprensibile nostalgia, ma anche un certo orgoglio, dà quasi l’impressione di sapere che inevitabilmente si fugge per riconquistare ciò che si è lasciato.

Non si spiegherebbero altrimenti le minuziose descrizioni dei luoghi dell’infanzia, dei protagonisti semplici della storia di una piccola comunità, delle gioie e dei dolori di gente che sentiva di appartenere ad una tradizione e come tale si è sempre comportata: abitudini, usi, costumi, riti vengono passati in rassegna da Fazi che non solo, attraverso il ricordo, ci immette negli anni Settanta ed Ottanta, ma ci narra appunto, con partecipazione pari all’affetto per le sue origini, che cosa ha significato la lunga traversata dal “piccolo mondo” a quello nel quale si è consapevolmente immerso, infinitamente più grande, senza perdere il senso di un viaggio intrapreso quasi per caso.

E’ questa la “bellezza di esistere”. Tra Quintodecimo e Londra, tra Ascoli e Roma Fazi l’ha incontrata. E la meditazione sui suoi quarant’anni, compiuti ormai ventiquattro anni fa, è il frutto su una sorta di viaggio iniziatico in compagnia soltanto della poesia. Infatti, di poesia, in senso tecnico e tutt’altro che metaforico, sono intessute molte pagine del racconto. Dispiace che l’autore non le abbia mai raccolte in un volume a sé stante, ma non è ancora troppo tardi. Probabilmente risalterebbe ancor meglio quel sentimento della bellezza che ha cercato di trasmettere attraverso una memoria essenziale suscitatrice di emozioni e di suggestioni.

Il fascino de La bellezza di esistere è racchiuso nella vita che si è fatta poesia, dunque, e nella poesia che ha dato senso alla vita. Una verità tutt’altro che sconvolgente, se si vuole, ma quanto eccentrica o “rivoluzionaria” in questi tempi complicati, opachi, perfino disgustosi.

ELIDO FAZI, La bellezza di esistere, Fazi editore, pp.188, 18,00 euro