Hillary Clinton, chi era costei? Gennaro Sangiuliano prova a spiegarcelo

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 21 Novembre 2016 - 08:01 OLTRE 6 MESI FA
Hillary Clinton, chi era costei? Gennaro Sangiuliano prova a spiegarcelo

Hillary Clinton, chi era costei? Gennaro Sangiuliano prova a spiegarcelo

Dopo aver letto la biografia che Gennaro Sangiuliano ha dedicato a Hillary Rodham Clinton, ci si può onestamente chiedere, al di là di ogni pur legittimo  pregiudizio favorevole o contrario, come ha potuto una donna che ha consacrato la sua vita al potere personale, arrivare ad un passo dalla Casa Bianca, che già aveva abitato e monopolizzato per otto anni, al seguito del marito. L’ex-first lady, la senatrice democratica, la candidata che volava sull’onda dei sondaggi, l’ispiratrice e la zelante complice di Bill Clinton in ogni stagione della loro vita comune, non ha avuto altri scopo che quello di servire la sua ambizione.

Adesso che è uscita dalla vicenda politica americana (ma sentiremo ancora parlare di lei), forse il documentatissimo libro di Sangiuliano, narratore eccellente della politica mondiale (sue le biografie di Putin e Angela Merkel, tra le altre), contribuirà a gettare nuova luce su quella che poteva diventare la prima donna presidente d’America.

La storia che leggiamo in “Hillary. Vita e potere di una dinastia americana”, pubblicato da Mondadori, sembra tratta, almeno come ispirazione, dalla serie televisiva “House of cards” o forse – almeno questo è il dubbio che ci assale – è proprio lo sceneggiato interpretato magistralmente da Kevin Space ad essersi, in qualche modo, rifatto alla vicenda reale di “Billary”, vale a dire al sodalizio politico-coniugale più controverso, intrigante e solido contemporaneo.

Resta il fatto che Sangiuliano, raccontandoci una vicenda che ha del romanzesco, ci rivela come attraversando spregiudicatamente la palude degli scandali, i trabocchetti elettorali, gli agguati dei media, le asperità dell’alta finanza si possa arrivare fin nello Studio Ovale, il cuore del potere mondiale, e recitare da quel ponte di comando un ruolo che ci si è prefisso fin da giovani, quando si calcavano le scene dei campus universitari, laboratori  di contestazioni ed estremismi che sarebbero serviti nella lunga marcia verso Washington.

Hillary e Bill hanno saputo vivere le stagioni dell’America post-kennedyana rifiutando di cristallizzarsi nella coerenza giovanile, legandosi ad emergenti di scuro avvenire (Jimmy Carter per esempio) e scoprendo che il mondo si apriva a loro ed entrava nelle vite che si costruivano con caparbia ed intelligenza; in altri termini, superando incomprensioni e dissapori, semplicemente rendendosi disponibili reciprocamente a tollerarsi in vista di traguardi più alti.

Hillary ha creato Bill; Bill ha provato a ricambiare il favore, ma sul filo di lana non lui, bensì l’establishment è caduto sotto il peso della rivolta populista (e la si smetta di demonizzare termine e concetto una buona volta, soltanto perché si è a corto di offese efficaci) che loro stessi, giovani studenti a Yale, pure avevano cavalcato, così come al tempo delle elezioni per la conquista dello Stato dell’Arkansas, vinte e perse da Bill, tenacemente sostenuto da Hillary che sessualmente ed allegramente tradiva.

Già, il tradimento. È un capitolo importante della storia. L’ex-first lady ha investito molto su di esso. Come nell’Italia del Quattro-Cinquecento, non diversamente da quella che era la Camelot progressista della seconda metà del secolo scorso. A fronte di rivelazioni inoppugnabili, elencate con meticolosità e eleganza da sangiuliano che in nessuna pagina indugia su lla morbosità cui indubbiamente il tema si presta,  Hillary è sempre stata dalla parte di Bill. E Bill le ha attribuito ruoli decisionali, nella piccola Little Rock, quando era governatore, come alla Casa Bianca; ruoli da protagonista politica che nessun’altra ha mai ottenuto dal marito governatore o presidente nella storia americana, con la sola eccezione, forse, di Eleanor Roosevelt. Ruoli assolti tra ombre e luci: più le prime che le seconde, come con dovizia di particolari ci ricorda Sangiuliano, ma che hanno costituito le premesse per poter ottenere ancora di più quando i coniugi esaurirono il loro mandato.

Hillary, avvocato di successo, grande tessitrice di rapporti con l’alta finanza ed il mondo delle professioni, non si sarebbe mai rassegnata a fare la parte dell’ex. Dopo Washington, New York e qui, nella Grande Mela, fa valere il lunghissimo noviziato esercitato nel cuore del potere. Non ci mette niente a diventare senatrice; ancor meno a competere con Obama per la candidatura alla presidenza; la sconfitta è una vittoria: diventa segretario di Stato; il partito democratico è suo, insomma, sia pur di malavoglia accettata dai maggiorenti dai quali mai è stata amata, piuttosto temuta.

Da quando, “Goldwater-girl”, giovanissima militante repubblicana e conservatrice, sognava per se stessa un destino più luminoso di una qualsiasi ambiziosa signorina dell’Illinois, nata a Park Ridge, un sobborgo di Chicago, Hillary ha percorso tutto intero il cammino gremito di contraddizioni e compromessi. Tanto gli uni che gli altri sono stati la sua forza e la sua debolezza.

Quando ha vacillato è riuscita a reggersi; nel momento delle disfatte familiari e personali ha saputo reagire più e meglio del marito che ha sempre difeso, al di là di qualsiasi comprensibile risentimento, fino alla soglia dell’impeachment per il “caso Lewinsky; nel momento di cambiamenti epocali non ha esitato a gettare al vento antiche convinzioni; è stata antimilitarista quando la storia soffiava in quel senso, spregiudicatamente militarista pochi decenni dopo al volgere di altri momenti che esigevano cinismo piuttosto che realismo.

L’analista americana di sinistra, Diana Johnstone, l’ha definita “regina del caos”. Ha speso il suo potere (tutt’altro che effimero) per riportare se stessa su quello che probabilmente riteneva essere il suo trono al tempo in cui l’occupava il marito. Forse non sbagliava, se si considera ciò che ha fatto per lui. E’ caduta all’appuntamento decisivo con la storia americana e con il suo personale destino, per colpa di un miliardario newyorchese  non di sinistra come lei, che a differenza di lei è riuscito a vincere contro l’establishment al quale entrambi appartengono. Paradossale, se si vuole, ma è così che talvolta vanno le cose in America.

 

GENNARO SANGIULIANO, Hillary. Via e potere di una dynasty americana, Mondadori, pp. 298, € 22,00