Gianni Riotta sulla Stampa: “Le due campane non bastano più?”

Pubblicato il 1 Marzo 2012 - 15:00| Aggiornato il 9 Aprile 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – “Hai sentito anche l’altra campana? Hai le due versioni?”. Questa la vecchia regola aurea del giornalismo politicamente corretto, ma nell’era del citizen journalism vale ancora questo motto? Se lo chiede Gianni Riotta sul quotidiano la Stampa. E se lo è chiesto, prima di lui, il National Public Radio, Npr, network di 900 radio pubbliche americane lanciate negli Anni 60 dal presidente Johnson. Ovvero, scrive Riotta: “Quanto di meglio i media Usa abbiano in anni rauchi di populismo”.

Nel suo nuovo manuale http://ethics.npr.org/ Npr spinge i reporter a non accontentarsi più dei «fatti», delle «dichiarazioni», ma a riconoscere che la verità è molto complessa, costituita da voci, versioni e culture opposte, che il «Lui dice…» «Lei ribatte…» non sa illustrare. La svolta di Npr, bastione dell’anglosassone «fairness», equanimità, viene dalla frustrazione per un mondo in cui ormai poco «accade» senza filtri e, soprattutto in politica, ogni «notizia» è curata da «spin doctors», manager dell’immagine che costruiscono realtà posticce a vantaggio dei leader.

Il manuale Npr è accolto con entusiasmo da Jay Rosen, filosofo della New York University e padre del movimento Citizen Journalism, corrente che scommette su Internet per un «giornalismo dei cittadini», più ricco, innervato e vicino alla realtà, grazie a blog e social network, di giornali e tv. Nel suo blog Press Think (sottotitolo alla Marx, Fantasma democratico nella macchina dei media) Rosen elogia Npr, ricordando il caso di un articolo del «New York Times» sul salvataggio di Wall Street dopo la crisi, in cui l’ex presidente della finanziaria Aig, Maurice Greenberg, attaccava la Casa Bianca, «intervento fallito per 170 miliardi di dollari», per essere poi bilanciato da dichiarazioni opposte. Rosen critica la tecnica delle «due campane», perché – a suo avviso – se non si ricordano per intero le responsabilità di Wall Street nella crisi non si può fingere poi che ognuno dica la sua, come a un club. Meglio sbilanciarsi, dare contro Greenberg, prendere parte senza falsi equilibri: è la tecnica in uso su Internet, con i blog a dare la propria versione singola e il lettore a orientarsi come può.

Se la parzialità, rivendicata nei blog come già nella stampa schierata, viene ora adottata anche dai media equanimi, come cambia l’informazione? Il dibattito di Npr raggiunge il «New York Times» e non senza frizioni. Il 12 gennaio, Arthur Brisbane, «public editor» vale a dire il giornalista che difende diritti e punti di vista dei lettori anche contro direttore ed editore, pubblica un commento controverso: «Il “N. Y. Times” deve essere il vigilante della verità? I cronisti devono riportare le dichiarazioni di politici, finanzieri, militari obiettivamente, o commentarle già negli articoli, non aspettando gli editoriali? Il Nobel per l’economia Krugman, columnist del giornale, non ha dubbi e il 23 dicembre invita i redattori a ribellarsi contro «la politica della postverità»http://www.nytimes.com/2011/12/23/opinion/krugman-the-post-truth-campaign.html?_r=1. Giusto i temi che «La Stampa» ha affrontato con la filosofa D’Agostini nell’eccellente saggio su «Lady Gaga e Vattimo»

E allora, chi ha ragione?

Il lettore non si aspetti una risposta univoca, e non certo per adesione alla moda del momento! Realtà importanti come citizen journalism e web hanno cambiato per sempre l’informazione. I cronisti verranno sempre più incalzati da versioni e analisi online 24 ore su 24: è un bene per informazione e democrazia. […] Il futuro chiama tutti a maturare. I bloggers non potranno più accontentarsi della propria individuale «verità» e dovranno confrontarsi con chi la pensa diversamente. I giornalisti devono accettare che i vecchi strumenti non bastano più e difendere a testa alta nei new media equanimità, completezza, professione. Perché la questione è ben più antica del duello New Media contro Old Media.