Luca Montezemolo fa 70 anni e racconta (quasi) tutto fra Ferrari e Alitalia

a cura di Redazione Blitz
Pubblicato il 13 Agosto 2017 - 05:48 OLTRE 6 MESI FA
Luca Montezemolo fa 70 anni e racconta (quasi) tutto fra Ferrari e Alitalia

Luca Montezemolo fa 70 anni e racconta (quasi) tutto fra Ferrari e Alitalia

Luca Montezemolo compirà 70 anni il 31 agosto. Il Giornale lo celebra in prima pagina con una lunga intervista, di oltre 4 mila parole. Padre di 2 figli sopra i 3 anni e di 2 bambine ancora in tenera età, 4 volte nonno, Montezemolo non assume il tono patriarcale che i successi e la prole giustificherebbero.

Il suo è un carattere inquieto, un po’ malato di perfezionismo. La sua vita intensa di esperienze come un otto volante. A ogni caduta ha reagito, ricominciando da capo e salendo ancora più in alto. Dal liceo classico all’Istituto Massimo, “la scuola dei Gesuiti frequentata dalla borghesia romana” al campionato mondiale di Formula 1 vinto dalla Ferrari di cui era direttore sportivo nel 1975, quando lui aveva appena 25 anni. Fino a sfiorare la poltrona di primo ministro, sfilatagli un po’ brutalmente dai giochi del Palazzo, che gli preferì il mai abbastanza biasimato Mario Monti.

Molti sono convinti che sarebbe stato un ottimo premier. Molti ne erano convinti, anche all’estero, dove Montezemolo gode di una immagine molto alta, quando ancora Berlusconi era in auge. Lo vedevano come l’unico capace di battere Berlusconi (“Ci conosciamo da 40 anni. Il primo incontro fu nel ’76. Era venuto alla Fiat per parlare con Agnelli. Voleva comprare Teletorino”, che all’ epoca era della Stampa, e così fece). Poi venne la crisi del 2011 e Napolitano preferì Monti, forse il peggiore Governo della storia repubblicana. Montezemolo rimase in cima alle preferenze degli italiani. Ma ormai il peggio era arrivato. Resta il fatto che sarebbe stato un eccellente premier, come fu un ottimo presidente degli editori (Fieg), di Confindustria e di Fiat, cui diede la stabilità necessaria per la gestione Marchionne. Purtroppo non tutti sanno che nella storia crescita e benessere sono sempre stati sinonimo e conseguenza della magica parola stabilità.

L’intervista, condotta da , non tocca il tema. Ma è ricca di aneddoti, giudizi, storie del passato che ne rendono proficua la lettura. Un insegnamento che se ne trae è che ci si deve ispirare a modelli di vita quasi irraggiungibili. Oltre al padre, Massimo (“Oltre al senso della riconoscenza, mi ha inculcato il senso del lavoro”). Gianni Agnelli, Enzo Ferrari, Michele Ferrero. Soprattutto Agnelli e Ferrari:

“È a loro che devo tanto”, soprattutto la lezione di “imparare da chi ne sa più di me, succhiare esperienza. [Da loro ho imparato a] circondarmi di persone che fossero più brave di me. A fine anni Settanta, quando Umberto Agnelli, all’epoca ad della Fiat, mi chiamò alle Relazioni esterne, scelsi persone che poi hanno dimostrato tutto il loro valore. Penso a Marco Benedetto per una vita amministratore delegato del Gruppo Repubblica-Espresso, penso a Lorenzo Pellicioli, presidente e ad di De Agostini, penso ad Antonello Perricone. Ma anche più di recente: adesso si parla molto di Carlo Calenda, sta facendo un gran lavoro al governo. Carlo è cresciuto con me in Ferrari ed era nella mia Confindustria, arrivò a Maranello che era un ragazzino. Così come Andrea Zappia, ad di Sky Italia e Michele Scannavini, presidente di Ice. Ma anche Stefano Domenicali, oggi a capo di Lamborghini. Sì, non smettere di imparare, […] questa è l’essenza”.

Anche da presidente della Confindustria Montezemolo volle attorno a sé nomi fra i più rappresentativi del mondo imprenditoriale italiano. Lo rivendica con orgoglio: “È sufficiente elencare alcuni degli uomini di cui mi ero circondato in quella Confindustria per comprendere di che livello fosse: Alberto Bombassei, Marco Tronchetti Provera, Andrea Pininfarina, Pasquale Pistorio, Gianfelice Rocca e Gian Marco Moratti. […] Ancora oggi molti amici imprenditori si ricordano con piacere della mia Confindustria…”.

Una fase cruciale fu quando da presidente e amministratore delegato della Ferrari fu sbalzato ai vertici dell’industria italiana:

“Mi sono trovato contemporaneamente presidente di Confindustria e di una Fiat in difficoltà e in mano alle banche e con la famiglia Agnelli unita dopo la morte di Umberto a chiedermi di aiutarla e di assumere quell’incarico? E io che avrei voluto tutto tranne che dire di sì?.

“Era martedì. Due giorni dopo sarebbe iniziata la mia presidenza in Confindustria. Io che non ero mai andato in giunta e non ero imprenditore sarei stato eletto con il 98% dei voti. Ritenevo perfetto per quel ruolo Andrea Pininfarina, però suo papà Sergio mi aveva detto che aveva bisogno di lui nell’azienda di famiglia. Martedì mattina avevo cercato Umberto perché mi avrebbe fatto piacere che ci fosse anche lui al mio insediamento. Per la prima volta in una vita Umberto non aveva subito richiamato. Morì due giorni dopo. Proprio il giovedì della mia nomina. E sabato mattina, lo ricordo come fosse ieri, ero al telefono con la famiglia Agnelli riunita. C’erano tutti: Allegra, la moglie di Umberto, molto provata, le voglio bene, ci sentiamo spesso ancora adesso. C’era il figlio Andrea, c’erano i Nasi, John Elkann ancora ragazzo e Gianluigi Gabetti da sempre l’uomo di fiducia della famiglia, a cui sono molto legato. Parlò Susanna Agnelli in viva voce: Luca, ti chiedo a nome di tutta la famiglia di accettare. Era un momento tragico a livello degli affetti e drammatico sul piano imprenditoriale: l’azienda era in mano alle banche su cui stava agendo l’allora ad Giuseppe Morchio per diventarne presidente. Sapevo che Confindustria sarebbe stata per me molto impegnativa. Come potevo diventare anche presidente di una Fiat così in difficoltà? Datemi un giorno per pensarci, avevo risposto. Rimasi sveglio tutta la notte. Parlai a lungo con mia moglie, con i miei figli grandi, Matteo, Clementina, e con Diego Della Valle. È un fratello, Diego.

“Mi dissi: se per egoismo o scelta di vita rispondessi di no alla famiglia dove, tolto il garante Gabetti, non c’erano più uomini perché John era ancora troppo giovane, non me lo perdonerei mai più. E così l’indomani chiamai Suni (Susanna Agnelli, ndr) e accettai. La mia vita era legata a lei, all’avvocato Agnelli, a Umberto, a queste persone”.

Finì 6 anni dopo e il modo ancor m’offende, ci sarebbe da dire, se ancora Montezemolo preferisce non parlarne. Come diceva l’avvocato Agnelli, si può dire quello che si pensa dopo gli 80 anni.

“Ogni storia finisce, quel che è importante è il modo in cui una storia finisce. Di quella vicenda ho solo un pensiero, ed è legato agli insegnamenti di mio padre, che mi ha inculcato un senso della riconoscenza che purtroppo non è di tutti, e mi ha dato anche la forza di lasciare sempre fuori dalla mia vita invidia e gelosia. Io sono orgoglioso dei risultati sportivi e commerciali ottenuti insieme con delle persone eccezionali come le donne e gli uomini della Ferrari. E questo mi basta”.

Due esperienze negative, Roma 2024 e Alitalia.

“Rinunciare a Roma 2024 è stata una decisione masochistica, sbagliata e ideologica. Avremmo stravinto. Una grande occasione persa dal Paese e soprattutto da Roma ridotta oggi in condizioni a dir poco pietose. E mi spiace molto per il grande lavoro fatto dal mio amico Malagò.

“Con Alitalia, ho avuto due ruoli. Su pressione del governo, di convincere gli arabi di Etihad a investire. Sono così arrivati in Alitalia 700 milioni quando era ormai tecnicamente fallita. E poi ho dovuto tenere uniti gli azionisti. Ero il garante, ma senza deleghe. Non avevo potere decisionale. E tuttavia eravamo riusciti a convincere gli azionisti a rilanciare. Tant’è vero che la proposta andata a referendum prevedeva investimenti per altri 2 miliardi. Lo dico con amarezza, con quel referendum è stato sancito un principio nuovo: i dipendenti possono autolicenziarsi. Perché, comunque vada, ritengo che purtroppo non rimarranno 12mila persone in Alitalia”.

Un fatto che cambiò l’Italia ormai nel baratro fu la marcia dei 40mila colletti bianchi Fiat.

“All’epoca ero a capo delle relazioni esterne del gruppo. Era il 14 ottobre 1980. Ricordo che la mattina mi chiamò il direttore del Giornale: Ciao Luca, sono Indro, ma è proprio tutto vero?. Voleva ogni dettaglio. Con Montanelli ci vedevamo spesso. Quando gli spararono lo raggiunsi in ospedale. Era provato fisicamente ma emanava una grande serenità. Erano anni terribili: giornalisti, politici, dirigenti uccisi, rapiti, gambizzati. Quando arrivai come capo delle relazioni esterne della Fiat era appena stato ucciso Carlo Casalegno. Avevo rapporti con tutte le categorie a rischio. E ci pensavo ogni mattina: E se oggi toccasse a me?”.

Chiede l’intervistatore quanto contò Agnelli per il suo primo arrivo alla Ferrari nel ’75?

Risposta netta: “Zero”. Fu invece

“merito del ’68 e di Enzo Ferrari e… di Gianni Boncompagni”. Merito del ’68 perché mentre gli altri studenti occupavano le università… avevo tempo per correre a Vallelunga con Cristiano Rattazzi, un vero amico. Era in classe con me all’Istituto Massimo. Fu così che Susanna Agnelli, la mamma di Cristiano, mi volle subito un grandissimo bene e che si creò un rapporto speciale. Ero un bambino di nove anni. Un affetto reciproco durato una vita. Poco prima di morire ha voluto che assumessi io l’impegno di guidare Telethon, la sua creatura. Suni è stata come una seconda madre.

Con Cristiano Rattzzi

“avevamo preso una 500 facendola elaborare. Dissi a mio padre che ero andato a studiare invece ero a correre. Mi prese a sberle. Arrivai a partecipare al Mille Laghi in Finlandia e a un Sanremo. Fatto sta, una mattina c’era una trasmissione radiofonica, Chiamate Roma 3131, era di Boncompagni. Tema: le corse d’auto. Fui invitato. Un radioascoltatore telefonò e disse cose terribili contro le gare, la F1 e la Ferrari. Io difesi le corse con tutta la forza che avevo. Poco dopo chiamò in trasmissione Enzo Ferrari: Vorrei ringraziare quel giovane che ha parlato così bene e difeso la Ferrari. Mi invitò ad andarlo a trovare… Lo feci un anno dopo, credo fosse il ’73, tornando da New York dove frequentavo la Columbia University e intanto arrotondavo per mantenermi lavorando in uno studio legale. Mi disse: Ho bisogno di un giovane come lei per assistente, sa, sono circondato da ingegneri…. Divenni presto direttore sportivo.

“Studiando a casa di Cristiano [conobbi Gianni Agnelli]. L’avvocato fece visita alla sorella e al nipote e restammo a parlare a lungo. Ci fu subito un’inspiegabile e immediata empatia. Poi Suni mi disse che di me aveva avuto un’ottima impressione.

“La grande soddisfazione è stata  che mi ritenesse all’altezza di affidarmi importanti responsabilità. Non era lui, come non lo sono io, una persona che avrebbe mai fatto una cosa simile solo per amicizia. Conservo ricordi meravigliosi. Perché l’avvocato era una persona che stava bene dappertutto. Era molto più semplice di quel che la gente ha sempre creduto, così come il fratello Umberto”.