Rai, pazzesca pretesa azienda: premio risultato in busta se c’è…risultato. Rivolta!

di Lucio Fero
Pubblicato il 26 Aprile 2017 - 12:15 OLTRE 6 MESI FA
Rai, pazzesca pretesa azienda: premio risultato in busta se c'è...risultato. Rivolta!

Rai, pazzesca pretesa azienda: premio risultato in busta se c’è…risultato. Rivolta! (foto Ansa)

ROMA – Rai, e poi dicono che uno finisce a…Alitalia. L’ultima dalla Rai narra della rivolta in atto di sindacati e maestranze (giornalisti esclusi, loro non sono toccati e neanche in rivolta ma vigilano) contro una lettera arrivata dal capo del personale.

E che c’è scritto nella lettera? Niente meno che il “premio di risultato” (in denaro ovviamente) verrà pagato quest’anno in busta a maggio. Poi per il 2.o18 si vedrà se e quanto sarà il “premio di risultato”. Niente meno e inaudito nella lettera si affaccia l’eversivo principio che il premio di risultato in busta paga c’è quando c’è…il risultato. Insinuazione, anzi blasfemia intollerabile secondo i lavoratori Rai.

Lavoratori che con le loro organizzazioni e mobilitazione denunciano l’attentato tentato ai diritti consolidati: il premio di risultato in busta c’era in un contratto scaduto nel 2.013. Ma che c’entra, osservano sindacati e lavoratori, la scadenza del contratto? Fanno rilevare che il premio è stato sempre pagato e che quindi, per forza e giustizia di cose, deve essere pagato ad ogni anno.

Nel 2.017 fanno 18 milioni di premio di risultato nelle buste paga dei dipendenti Rai. Non sappiamo sia poco o tanto e non è nostro compito né competenza far di simili calcoli. E neanche sapiamo o vogliamo sapere se gli stipendi Rai siano alti, bassi, medi. Può darsi che la quota che annualmente viene dal premio di risultato sia congrua e necessaria a comporre retribuzione degna e adeguata oppure può darsi sia ciliegina che va ad adornare torta già abbondantemente farcita e incremata.

E comprendiamo bene i dipendenti Rai che come tutti i dipendenti, soprattutto pubblici, ritengono e sono abituati a che se una cifra entra in busta paga, sotto qualsiasi voce entri e per qualunque motivo lo faccia, dalla busta paga non deve uscire più. Il nostro è un paese assolutamente allergico alla sola idea di salario “accessorio” legato a prestazioni che ci sono o non ci sono e del tutto refrattario a premi di merito o di risultato che possano esserci o anche no a seconda del merito o del risultato. Campione di questa ideologia e politica del lavoro è la Pubblica Amministrazione dove il premio di risultato viene elargito in media al 98% per cento dei dirigenti. Nella scuola addirittura si sono tenuti nascosti i nomi dei prof che avevano ottenuto il premio di merito per timore di ritorsioni.

Quindi i dipendenti Rai, più o meno come tutti, considerano il premio annuo di risultato una parte strutturale, eterna e intoccabile del salario. Bene, ma allora perché chiamarlo nei contratti “premio di risultato”, perché questa accortezza linguistica-sindacale? Beh, i perché sono tre.

Primo: fa più chic, è più cool e soprattutto fa meno rumore chiamarli “premi”, “accessori”, “incentivi” che aumenti secchi di stipendio. Sembra, sembra che sembri che guadagni meno. E di ipocrisie contrattuali è pieno il vocabolario in uso presso tutte le categorie.

Secondo: sui “premi” di produzione e/o risultato si pagano meno tasse. Ah, ecco…meno tasse che sullo stipendio fisso. Ci sono meno tasse e meno tasse ci sarebbero per incentivare la parte mobile e variabile della retribuzione.

Ed ecco il terzo perché: si preferiscono, ma guarda un po’, meno tasse come fosse parte mobile delle retribuzione tenendo però tale retribuzione fissa in busta e peste e corna (e vedrete che otterranno ragione e soddisfazione in Consiglio di Amministrazione Rai) a chi avanza la pazzesca (in Italia) pretesa che il premio di risultato sia legato al…risultato!