Banche in crisi Mps, Carige, Marche: mancano 5 mld chi ce li mette non si sa

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 13 Settembre 2013 - 14:42 OLTRE 6 MESI FA

tasseROMA – Servono, subito o quasi, la bellezza di 5 miliardi di euro. Non per tamponare la cancellazione dell’Imu né per evitare l’aumento dell’Iva, né tantomeno per investire sulla scuola o nelle opere pubbliche. Servono 5 miliardi di euro per salvare il gruppetto di banche italiane in crisi. Gruppo guidato d Monte Paschi di Siena, poi c’è Carige, c’è Banca Marche… Cinque miliardi: la metà di questi, come l’Europa ha chiaramente chiesto, solo per rimettere in sesto Mps e, gli altri 2.5 miliardi, per risolvere le crisi di tante banche medie piccole che hanno necessità assoluta di una ricapitalizzazione. A spiegarlo, a dirlo a chiare lettere, ci ha pensato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.

Ma chi metterà i soldi, chi pagherà il conto di queste difficoltà? Non lo Stato, per l’ottima ragione che non li ha e anche perché sarebbe difficile spiegare il come e il perché di un pubblico salvataggio. “Attraverso il ricorso al mercato”, ha detto Visco, si dovranno reperire i fondi necessari. Ma questo “mercato” non ha ancora nome e cognome e quindi, chi metterà i 5 miliardi necessari è una domanda ancora senza risposta. Tanto che per Mps esiste la teorica, ma non solo teorica, possibilità che se il mercato non ricapitalizza la banca, allora i Monti-bond diventano azioni della banca stessa e Mps viene di fatto nazionalizzata.

Circa 800 milioni per Banca Carige, 400 per Banca Marche, 100 per la Popolare di Spoleto, 2/300 per la Tercas, 500 per la Popolare di Milano e 2.5 miliardi solo per Montepaschi. Sono le cifre che servono per mettere in sicurezza i bilanci di molte banche medio-piccole, eccezion fatta per Mps, i cui conti rischiano di saltare. Fuori controllo perché afflitte certo dalla difficoltà economica delle famiglie, e quindi dei correntisti, colpite dalla crisi, ma anche perché fiaccate da anni di gestioni a volte discutibili e, in alcuni casi, al limite del codice penale.

Fabrizio Massaro, sul Corriere della Sera, scrive:

“Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, martedì è stato chiaro: la soluzione per ogni necessità di capitale aggiuntivo ‘va trovata attraverso il ricorso al mercato’. Ma chi metterà i soldi? I tentativi di salvarsi in maniera autonoma non è detto che riescano: la cordata di imprenditori marchigiani capitanati da Francesco Merloni e con la partecipazione (forse) di Diego Della Valle sarebbe pronta a investire 300 milioni per Banca Marche. ‘Ma serviranno?’ si chiede un banchiere di peso. (…) ‘A parte alcuni rilevanti ma circoscritti episodi di illeciti, le difficoltà maggiori riguardano principalmente una manciata di gruppi medio-piccoli’, ha spiegato Visco, fiaccati da cinque anni di crisi profonda che ha colpito imprese e famiglie e di conseguenza i bilanci bancari. Ma appesantiti anche per il modo in cui quei bilanci sono scritti: ‘Le banche italiane appaiono avere un livello di crediti deteriorati e di copertura basso’, ha spiegato Visco, ‘ma utilizzassero le stesse definizioni delle banche estere, il loro ammontare di prestiti non-performing scenderebbe di circa un terzo’. Visco ha messo in chiaro che non punta a un rilassamento delle regole sulle sofferenze. Ma perché, se già abbiamo le regole più severe, la Banca d’Italia sta imponendo una stretta così pesante ai bilanci delle banche? ‘Per ripulirli al meglio e fare in modo che i patrimoni rappresentati siano i più reali possibili’, spiega Paolo Gualtieri, ordinario di Economia degli intermediari finanziari alla Cattolica, ‘perché quando hai un Paese in ginocchio devi avere un sistema bancario forte, sennò si rischia di mandare davvero tutto a rotoli’”.

Se però il governatore Visco indica nel mercato la fonte delle ricapitalizzazioni necessarie, sotto la costante spada di Damocle della crisi, con un’economia che non riesce a riprendersi, con una disoccupazione nel migliore dei casi stabile diventa difficile se non improbabile sperare che questo mercato sia impersonato da investitori stranieri. Perché, infatti, investire in un Paese in queste condizioni e, per di più, in un settore in Italia già saturo anche dal punto di vista della quantità degli addetti e quindi dei costi? L’alternativa potrebbe e dovrebbe essere un mercato italiano pronto ad intervenire. Ma lo stesso Massaro riconosce e racconta nel suo pezzo che persino l’unica cordata italiana di cui si parla, sia ancora del tutto ipotetica e lontana dal materializzarsi

In assenza di un mercato, la paura è allora che a questo si pensi di o si debba sostituire lo Stato che, con denaro pubblico e con risorse che ora francamente è difficile persino immaginare, salverebbe gli istituti attualmente in difficoltà. Una soluzione che però certo non troverebbe un grande appoggio popolare e per cui altrettanto certamente sarebbe difficile trovare le coperture. L’interrogativo allora resta: servono 5 miliardi per salvare le banche, chi paga?