Berlusconi a pezzi: nascono un grande Msi e una piccola Dc (per ora)

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 2 Ottobre 2013 - 13:13 OLTRE 6 MESI FA
berlusconi

Silvio Berlusconi (foto Ansa)

ROMA –  C’erano una volta una grande Dc e un piccolo Msi. Andò così per circa mezzo secolo e poi sparirono, entrambi, anche se in forme e modi diversi. Oggi al Senato, in Parlamento, stiamo assistendo alla rinascita dell’una e dell’altro, certo con nomi diversi, ma soprattutto con proporzioni invertite: un grande Msi e una piccola Dc. E’ l’esito del Berlusconi a pezzi, dello scindersi del Pdl in due pezzi appunto. L’uno, con Berlusconi destinato a somigliare molto, moltissimo a un Msi taglia grande. E l’altro, con Alfano e gli “alfani”, destinato a somigliare molto, moltissimo, a una Dc piccola piccola, per ora. Perché piccole democrazie cristiane possono anche crescere. 

Stefano Folli, parlando del destino cui il Pdl sta andando incontro, nomina “due destre ormai in cammino, sulle ceneri del ventennio berlusconiano”. I fatti si stanno susseguendo in queste ore e in queste minuti. Silvio Berlusconi ha, in una parziale retromarcia, deciso di affidare riscoprendo la dialettica democratica ad una votazione la scelta su fiducia si o fiducia no. Sussulto democratico no, la votazione poi non c’è stata ed si è deciso invece, all’unanimità dei berlusconiani doc, di votare sfiducia a Letta. Fino in fondo, fino alla morte, fino al…grande Msi. Ha gridato “Carica!” il Cavaliere, carica contro il governo, tutti uniti per salvare il Capo a qualsiasi costo, compresa la fine dell’esecutivo e, in qualche modo, del Paese. Ha dato l’ordine ma, per la prima volta, non tutto l’esercito ha marciato”.

Le truppe berlusconiane non hanno seguito compatte e obbedienti l’ordine impartito, o almeno non tutte. Una maggioranza ha obbedito ma una minoranza, quantitativamente e qualitativamente significativa, ha scelto una strada diversa. Una minoranza in grado di mandare all’aria i piani del Cavaliere garantendo la fiducia al governo Letta e una minoranza guidata dal segretario Pdl Angelino Alfano, delfino sin troppo obbediente e fin troppo spesso umiliato dal presidente Berlusconi, e composta da nomi di primo piano come Fabrizio Cicchitto e dai ministri targati Pdl ora al governo.

Uno scenario che il Cavaliere certo non immaginava e che getta i semi delle due destre di cui parla Folli e che prenderanno le sembianze di un grande Msi e una piccola Dc. A prescindere dallo scontro e dalla questione di oggi appare chiaro e certo che sotto il cappello ormai sfaldato del berlusconismo non possono più convivere le due anime della destra: quella radicale, estrema e populista, in questo momento ancora più forte tra le due, che sarà la prossima Forza Italia, e quella moderata incarnata da Alfano e gli altri “diversamente berlusconiani”.

Un moto, una deriva politica che appare inarrestabile e che dovrà, tra pochissimo o meno, sottoporsi agli elettori. Altri, prima di Alfano, hanno provato a ridar vita ad una destra moderata, moderna. E hanno fallito. Ha fallito Gianfranco Fini, scomparso dai radar politici, e prima di lui ha fallito Pierferdinando Casini che la vecchia Dc non è riuscito a tenere in vita ma, dato più significativo, ha fallito Mario Monti che con la sua Scelta Civica è stato sostanzialmente bocciato dagli elettori.

Una scommessa e un progetto a perdere quello di Alfano e di chi una destra moderata vorrebbe, a giudicare dai precedenti. Ma anche solo da un anno a questa parte, dalle elezioni di febbraio che videro la disfatta di Monti, qualcosa è cambiato. E’ cambiato in primis Berlusconi, è cambiato il nome del suo partito, tornato alle origini, e sono cambiate le posizioni politiche di questo, radicalizzatesi e incancrenitesi intorno ad una difesa cieca della persona del Capo.

Stabilire se la scommessa dei “diversamente berlusconiani” sarà perdente o vincente, sarà compito degli elettori. E l’interrogativo è se, dopo 20 anni di berlusconismo, di populismi vari, di destra, di sinistra e “grillini” esiste ancora in Italia un elettorato moderato. Non “moderato” alla Berlusconi che sempre è stato tutto tranne che moderato,  un elettorato moderato disposto ad appoggiare la mediazione sociale anche a costo di non riconoscersi sempre e subito nella lobby sociale di appartenenza. Esiste questo elettorato? Quell’elettorato che  per decenni aveva assegnato una grande maggioranza alla Dc, ed una risicatissima nicchia alla destra radicale, leggi Msi. Quell’elettorato è stato provato, sfinito, consumato dal ventennio trascorso, provato e diseducato oltre che abbagliato da false promesse e fraudolente letture della realtà ma, cosa forse più importante, ha trovato già quell’elettorato una casa in cui vivere. Gli elettori moderati sono infatti ormai in gran parte gli elettori del Pd. Oltre Berlusconi e pochi altri ultras della destra, nessuno può infatti sostenere che la maggioranza dei democratici sia composta da estremisti di sinistra. Lo dicono i programmi, la visione economica, militare e lo dice tutto il Pd.

E’ quindi probabile che la scissione della destra italiana porti in più o meno breve tempo i venti di tempesta anche in casa Pd. Se infatti la rottura firmata Alfano sopravvivrà, sarà più o meno breve questione di tempo che anche tra i democratici qualcosa si muova. Se il contenitore della novella Dc supererà la tempesta iniziale, sarà un moto più o meno naturale quello che porterà parte dei democratici a riconoscersi nella neonata creatura e, con loro, anche parte del relativo elettorato.