Costa: Schettino cercava alibi, cioè il black out prima dello scoglio

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 26 Gennaio 2012 - 14:21 OLTRE 6 MESI FA

La Costa Concordia vista dal satellite (Lapresse)

ROMA – Sulla Costa Concordia la cronologia degli eventi di venerdì 13 gennaio è nota: manovra sconsiderata per fare l’inchino, urto con uno scoglio, comunicazioni ripetute dalla nave che ripetutamente dice “abbiamo un black out” e quindi naufragio. Invertendo però l’ordine degli avvenimenti, e ponendo il guasto elettrico prima dell’urto, si ottiene quello che sarebbe il “piano” che il comandante Francesco Schettino avrebbe tentato di architettare per discolparsi, e si spiega anche perché all’inizio, e non una sola volta e forse non per caso, dalla nave dissero che a bordo c’era solamente un black out, quando era evidente che così non era. Schettino disse dunque di aver un black out a bordo per poter poi sostenere che la collisione con un basso fondale era avvenuta dopo e a causa del guasto elettrico?

A raccontare questa versione, anzi a metterla per iscritto, è Roberto Ferrarini, responsabile delle operazioni marittime della Costa, nelle dichiarazioni consegnate dall’ad della Costa Pierluigi Foschi alla commissione Lavori Pubblici del Senato.

Se così stessero le cose, Schettino non sarebbe “solo” responsabile di una manovra folle che ha portato una nave di 300 metri a schiantarsi su uno scoglio a poche centinaia di metri dalla riva, non “solo” avrebbe abbandonato la nave tra i primi, ma avrebbe anche tentato di costruire una versione artefatta del naufragio per scrollarsi di dosso le responsabilità.

La notte del naufragio tra Ferrarini e il comandante Schettino intercorrono 17 telefonate. La prima alle “21.57, quando mi disse che la nave aveva urtato uno scoglio”. L’ultima “all’1.35, quando cercava di aggiornarmi sulla situazione, in maniera non attendibile”. Tra queste il black out e il tentativo di Schettino di concordare una versione comune da raccontare alle autorità. Racconta Ferrarini, il comandante era pronto a “condividere con me la posizione da tenere con le autorità, alle quali voleva dire che la nave aveva prima subito un black out a seguito del quale aveva urtato un basso fondale”, frase che non lascia spazio a dubbi o interpretazioni.

Il comandante Schettino comunicò alla capitaneria di aver un black out non perché sottovalutò la situazione a bordo, cosa per altro complessa visto che era stato informato che la sala macchine era allagata e che uno scoglio era incastrato nella chiglia. Ma decise di fornire quella versione dei fatti scientemente, per precostituirsi un alibi in grado, secondo lui, di nascondere le sue responsabilità dietro un falso problema tecnico, problema che avrebbe portato la nave da lui comandata sugli scogli.

Ma Ferrarini racconta la verità? La sede in cui la sua versione è stata depositata farebbe presupporre di sì. Mentire di fronte al Parlamento sarebbe cosa grave. Ma sino alla conclusione delle inchieste resta quella del responsabile delle operazioni marittime della Costa solo “una” versione dei fatti, “una” verità. E se la posizione di Schettino è apparsa difficilmente riscattabile fin dai primi momenti della tragedia, con il passare dei giorni anche la posizione della Costa si è fatta meno limpida.

Lo stesso sito della compagnia infatti, oltre alla rete, aveva esaltato altri inchini della stessa e di altre navi Costa, svelando che quella dell’inchino è una pratica se non accettata, quantomeno tollerata. E poi i dubbi sulla reale sicurezza della nave e preparazione dell’equipaggio all’emergenza. Tutti dubbi che la magistratura dovrà chiarire per stabilire chi sono i responsabili dell’incredibile naufragio della Costa Concordia e dei suoi 4200 passeggeri.